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L’approvazione al Senato in prima lettura del decreto legge governativo sugli impianti di interesse strategico nazionale – sostanzialmente imperniato su Acciaierie d’Italia e i suoi siti, fra cui quello imponente di Taranto – era attesa per dare continuità ad un percorso di progressivo ancorché faticoso e complesso rilancio del grande impianto ionico. Ora il provvedimento passa alla Camera ove dovrà essere convertito in tempi rapidissimi.

Non è stata accolta alcuna delle proposte di modifica avanzate da forze politiche, azienda e da varie parti sociali che pure erano state opportunamente convocate in lunghe audizioni. In questa sede, piuttosto che commentare i contenuti del decreto legge – facilmente leggibili sulle testate giornalistiche più autorevoli – ci preme richiamare l’attenzione dei lettori su quelli che rimangono i nodi più intricati da sciogliere per restituire normalità di esercizio alla acciaieria ionica.

Non si dimentichi (mai) che, ad oggi, quella grande fabbrica – la cui area a caldo è sotto sequestro dal 26 luglio 2012, ma con facoltà d’uso grazie a provvedimenti successivi del governo dell’epoca – è gestita da una società che ha in locazione con impegno all’acquisto gli impianti posseduti da un’altra impresa, a sua volta in amministrazione straordinaria.

Nella società che gestisce è presente capitale pubblico, al 38% detenuto da Invitalia mentre il 62% è posseduto da Arcelor Mittal, il maggior gruppo siderurgico mondiale, ma in consiglio di amministrazione vi è parità di voto. Il decreto legge ha stabilito che Invitalia possa versare sino a 1 miliardo – ma per ora lo ha già fatto per 680 milioni – convertibili a sua richiesta anche in aumento di capitale che porterebbe la stessa Invitalia al 60% della società di gestione, con Arcelor Mittal che dovrebbe versare 70 milioni per restarvi al 40%.

I versamenti sono già avvenuti – cash per Invitalia, e girando crediti vantati dal passato per Arcelor- risorse che hanno dato un sia pur minimo ristoro finanziario ad una società che, si badi bene, lavora tuttora quasi solo per cassa, non potendo godere di credito bancario.

Inoltre, il processo di primo grado “Ambiente svenduto” svoltosi a Taranto contro la precedente proprietà dello stabilimento, oltre a decine di condanne per ex proprietari, manager e amministratori pubblici ritenuti corresponsabili di presunti crimini – ha stabilito che, ove la sentenza fosse interamente confermata sino in Cassazione, gli impianti dovrebbero essere confiscati.

Questo è lo scenario strutturale, economico-finanziario e giudiziario in cui si colloca tuttora la quotidianità del sito tarantino da cui peraltro dipendono a valle gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure ed altri minori al Nord.

Nella quotidianità appena richiamata, si colloca poi un costante ricorso ormai da tempo alla cigs per circa 3.000 unità come numero massimo per l’intero gruppo, di cui 2.500 nell’impianto tarantino. Inoltre si stanno completando i lavori di ambientalizzazione previsti dall’Aia-Autorizzazione integrata ambientale, che dovrebbero concludersi, salvo richiesta di proroga, il 23 agosto di quest’anno. Le aziende dell’indotto, a loro volta, che occupano solo a Taranto circa 5.000 persone, ricevono con ritardi di circa sei mesi i pagamenti delle loro prestazioni e ad oggi vantano complessivamente circa 100 milioni di crediti per lavori già eseguiti e non hanno ancora certezza di commesse per l’immediato futuro.

Nella riunione del 19 gennaio scorso al ministero delle Imprese e del made in Italy convocata dal ministro Urso l’azienda si è impegnata a produrre 4 milioni di tonnellate per l’anno in corso, e 5 il prossimo anno, rispetto ad un battente massimo di 6,5 milioni consentito nel periodo di attuazione delle misure previste dall’Aia-Autorizzazione integrata ambientale.

Nel frattempo il presidente della società Bernabè ha annunciato l’avvio del processo di decarbonizzazione di Siderurgico tarantino con la prossima costruzione dell’impianto per la produzione di preridotto di ferro con cui alimentare il primo forno elettrico che però non potrà essere installato prima di due anni. Entro dieci anni poi lo stabilimento produrrà solo con forni elettrici, alimentati da preridotto di ferro, impiegando idrogeno verde. L’Unione europea ha già garantito risorse per la prima fase della decarbonizzazione, mentre il ministro Urso ha istituito presso il suo dicastero un tavolo permanente sui problemi di Acciaierie d’Italia dai cui lavori dovrebbero scaturire alcuni dei contenuti di un accordo di programma per l’area del capoluogo ionico, richiesto con insistenza dalle Autorità locali.

Insomma la fabbrica di Taranto – con gli impianti che in altre regioni vi dipendono – è in un guado lunghissimo in cui, tuttavia, grazie all’impegno (strenuo) di governo, azienda e sindacati – riesce a galleggiare e a confermarsi, nonostante tutto, una grande realtà produttiva che nel 2021 ha fatturato 3,3 miliardi di euro (rispetto ad 1,6 miliardi del 2020) con 8.168 addetti diretti, collocandosi così per il volume dei ricavi fra le prime realtà manifatturiere dell’Italia meridionale: questo dato è emerso dal Rapporto di sostenibilità dello stabilimento per il 2021, presentato nei mesi scorsi dalla direzione aziendale.

Il percorso per un completo rilancio ecosostenibile della grande fabbrica tarantina dunque è ancora lungo, mentre oggi e per i prossimi mesi, per una gestione corrente (relativamente) tranquilla servirebbe un aumento di capitale circolante di almeno 2 miliardi che, al momento, non sono disponibili, e sul cui reperimento devono impegnarsi le Autorità competenti.

Ex Ilva, ecco tutti i nodi ancora da sciogliere. Il commento di Pirro

La fabbrica di Taranto, grazie all’impegno di governo, azienda e sindacati riesce a galleggiare e a confermarsi, nonostante tutto, una grande realtà che nel 2021 ha fatturato 3,3 miliardi di euro, collocandosi per il volume dei ricavi fra le prime realtà manifatturiere del Meridione. Federico Pirro, coordinatore scientifico del Cesdim-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno-Università degli Studi di Bari Aldo Moro, commenta l’approvazione del Decreto legge Ex-Ilva in Senato

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