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Non c’è solo il dibattito sul 25 aprile e sui consigli “evolutivi” alla destra di governo nelle parole dell’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini. Quando osserva che la candidatura di Luigi Di Maio a inviato speciale Ue per il Golfo (procedura non ancora completata) è legittima e, quindi, ha un senso, punta l’indice su un settore nevralgico della cosa pubblica, anche se poco analizzato nelle reazioni spesso scomposte di queste ore. Ovvero gli equilibri internazionali che travalicano fazioni e parti in causa.

La Lega, come è noto, ha espresso forti riserve su Di Maio, definendo la cosa “una vergogna”. Marco Zanni, presidente del gruppo dell’Europarlamento Identità e democrazia si chiede “come sia possibile con le elezioni europee ormai vicine, scegliere per un incarico lungo una persona che il governo non ritiene adatta, oltre che del campo avverso”. Stesso cliché da parte di Fratelli d’Italia/Ecr secondo cui la scelta “non è stata avallata, né sostenuta in alcun modo dal Governo Meloni e Borrell ha compiuto una scelta certamente legittima sul piano formale, ma che, a fronte del mutato quadro politico, avrebbe dovuto avere la sensibilità di confrontare con il nuovo governo. Il quale, peraltro, è impegnato fin dal suo insediamento a normalizzare i rapporti con alcuni stati del Golfo dopo le tensioni diplomatiche sorte proprio negli ultimi anni. Non possiamo che esprimere, quindi, un giudizio negativo sulla gestione dell’intera vicenda”.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha osservato che è una scelta di Borrell, “legittima, ma Di Maio non è il candidato del governo italiano”.

Ma non a caso la medesima riflessione di Fini è stata fatta da un altro ex presidente della Camera, Pierferdinando Casini, che ha messo l’accento sull’opportunità rappresentata dal fatto di avere un profilo italiano in un ruolo internazionale: “È senz’altro una buona notizia per il sistema Paese”, ha precisato il senatore centrista. Si tratta di due riflessioni gemelle, che provano a guardare oltre le diatribe interne, per raccogliere il frutto pragmatico dell’eventuale nomina, avanzate con un piglio spiccatamente istituzionale.

Perché la scelta di Borrell su Di Maio è questione istituzionale e non politica

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