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Duole ammetterlo, ma c’è del vero. In questi giorni, un giornalista di sinistra e una giornalista di destra hanno mosso a Giorgia Meloni la medesima critica. Ha cominciato il direttore di Repubblica Maurizio Molinari. “La premier nella trappola del tribalismo politico”, era il titolo del suo editoriale della scorsa domenica. L’accusa è esplicita: non aver reciso quel “legame tribale con la base politica del suo partito e con la ristretta cerchia di collaboratori che la affianca”. Analogo ragionamento svolge oggi Flavia Perina sulla Stampa. La giornalista, già finiana, elenca i fatti, le polemiche sull’egemonia culturale della sinistra, quelle contro alte burocrazie pubbliche fino all’affare Donzelli e li attribuisce alla “percezione di sé” che caratterizza il mondo meloniano: “Quella di un mondo ostracizzato e minoritario che quasi per miracolo conquista la guida del Paese e deve farsi forza per continuare la sua battaglia contro un ambiente ostile”.

Una narrazione falsa, ricorda Flavia Perina, perché la destra post missina è entrata nell’“arco costituzionale” sin dai primi anni Novanta e da allora ha governato sia il Paese, sia le principali tra le regioni e i comuni. Una narrazione “pericolosa”, incalza Maurizio Molinari, perché impedisce a Meloni di essere percepita come “il premier di tutti gli italiani”, crea fratture nella maggioranza di governo, complica il percorso delle riforme costituzionali condivise con le opposizioni, pregiudica “un’alleanza di ampio respiro tra conservatori e popolari in occasione delle Europee del 2024”.

C’è del vero. È vero che Giorgia Meloni non è più, come disse nel discorso per la fiducia, un “underdog” e non guida più un partito di opposizione del 4%. Giorgia Meloni è capo del governo e il suo partito veleggia attorno al 30% dei consensi. Urge, dunque, una postura istituzionale conseguente. Continuare a grattare la pancia alla propria base elettorale rinverdendone le antiche frustrazioni può forse servirle a mantenere uno zoccolo duro di consenso, ma di sicuro non le servirà a governare con la credibilità e l’efficacia che l’Italia merita.

Cosa serve a Meloni per governare (bene) l'Italia. Il commento di Cangini

Meloni è capo del governo e il suo partito veleggia attorno al 30% dei consensi. Urge, dunque, una postura istituzionale conseguente. Continuare a grattare la pancia alla propria base elettorale rinverdendone le antiche frustrazioni può forse servirle a mantenere uno zoccolo duro di consenso, ma di sicuro non le servirà a governare con la credibilità e l’efficacia che l’Italia merita

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