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“Forse non sarà possibile raggiungere la pace. C’è un odio tremendo, giusto per farti capire, Kristen”, ha detto. “Stiamo parlando di un odio tremendo tra questi due uomini e tra, sai, alcuni dei soldati. Tra i generali. Hanno combattuto duramente per tre anni”. Parlando in un’intervista rilasciata alla giornalista dell’Nbc Kristen Welker, il Presidente statunitense Donald Trump si mostra molto meno fiducioso sul possibile raggiungimento di un cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina, uno degli obiettivi su cui aveva insistito di più durante la sua campagna elettorale. Dichiarazioni che si inseriscono all’interno di quello che appare come un più ampio riposizionamento di Washington rispetto al conflitto in corso in Europa dell’Est e ai due attori in esso direttamente coinvolti.

Nelle ultime settimane (complice anche l’accordo con i minerali firmato all’inizio di questo mese) il Presidente Trump sembra aver assunto un approccio più amichevole, o se non altro meno ostile, verso il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dopo una parentesi di burrasca nei loro rapporti simboleggiata perfettamente dallo scontro in diretta televisiva avvenuto nella cornice dello Studio Ovale lo scorso febbraio.

Al contrario, la fiducia di Trump nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin sembra incrinarsi sempre di più, di fronte allo scarso interesse mostrato dal leader della Federazione Russa nel raggiungere una tregua effettiva a lungo termine. Negli scorsi giorni il leader russo ha proclamato una tregua unilaterale di settantadue ore in occasione delle celebrazioni per la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale che si terranno il 9 maggio, a cui Kyiv ha ribattuto proponendo un cessate il fuoco della durata di trenta giorni, senza ricevere alcun responso da Mosca. Un silenzio che ha permesso a Zelensky di definire l’annuncio di Putin come una “rappresentazione teatrale” e come un tentativo di creare una “atmosfera soft” in vista delle celebrazioni russe. Ribadendo così la sua disponibilità al negoziato, in linea con il partner statunitense.

Il fatto che Mosca non sia particolarmente interessata a fermare le operazioni militari sembra essere stata confermata dallo stesso Putin, che durante un’intervista ha dichiarato: “Abbiamo forza e mezzi sufficienti per portare a logica conclusione ciò che è stato iniziato nel 2022 con il risultato richiesto dalla Russia”. Aggiungendo poco dopo che “potrebbe non essere necessario fare ricorso alle armi nucleari”, sottintendendo una disponibilità al suo utilizzo coerentemente con la retorica impiegata sin dall’inizio del conflitto.

Questo riallineamento potrebbe non essere privo di conseguenze. Poche ore fa è stato annunciato da parte Usa il riposizionamento in Ucraina (dopo i dovuti lavori di manutenzione) di un sistema Patriot attualmente dispiegato in Israele, a cui dovrebbe aggiungersene un altro proveniente dalla Germania o dalla Grecia. Un ex-funzionario della Casa Bianca contattato dal New York Times ha dichiarato che questo provvedimento era stato deciso dall’amministrazione Biden (con il consenso di Israele) già lo scorso anno, mentre il Dipartimento della Difesa ha dichiarato in un comunicato che “continua a fornire attrezzature all’Ucraina da pacchetti precedentemente autorizzati”, riferendosi a sistemi già disponibili negli arsenali così come a nuovi acquisti.

Difficile però escludere una lettura politica. Soprattutto considerando che lo scorso sabato Zelensky ha dichiarato ai giornalisti che l’accordo sui minerali potrebbe significare che gli Stati Uniti invieranno più sistemi di difesa aerea. Le tempistiche dell’annuncio, così come l’assenza di ogni forma di opposizione da parte di Trump, suggeriscono che questo trasferimento sia in realtà un messaggio che la Casa Bianca ha voluto mandare al Cremlino sul fatto che, se Mosca non si mostrerà più collaborativa e si impegnerà più seriamente nel raggiungimento di un accordo di pace, Washington potrebbe alzare il livello del suo sostegno militare a Kyiv. Con tutte le conseguenze del caso.

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