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Se qualcuno volesse una prova tangibile del fallimento del bipolarismo figlio dell’attuale legge elettorale, dovrebbe volgere lo sguardo a ciò che accade nel Partito Democratico. Lì, come in uno specchio deformante, si moltiplicano soggetti che si autodefiniscono “centristi” e reclamano un ruolo. Ma dietro le quinte a spingere loro, in più casi ci sono gli stessi capibastoni di sempre. Fenomeni simili si registrano anche nel centrodestra. In entrambi gli schieramenti, il motore reale non è tanto il dibattito politico, ma il bilancino elettorale garantito dalla legge vigente: un equilibrio fragile che serve a garantire rendite di posizione.

Il paradosso è evidente: i partiti, anziché evolversi, si sono adattati al meccanismo elettorale. Il segretario nomina i parlamentari, che a loro volta entrano negli organi di partito, escludendo di fatto i cittadini dalla vita democratica interna. Il cerchio si chiude, o meglio, si stringe. È una degenerazione che coinvolge la gran parte delle forze politiche: organismi autoreferenziali, dove il capo decide chi va in lista e chi no, rendendo la rappresentanza un fatto privato.

Ma mentre il mondo cambia vorticosamente, il sistema politico italiano resta fermo, incapace di offrire risposte all’altezza. La necessità di restituire rappresentanza autentica ai cittadini non è più rinviabile, se si vuole garantire stabilità ai governi e legittimità alle istituzioni. Pare che Giorgia Meloni abbia intuito il pericolo e lanciato una proposta inedita: superare l’idea polarizzante dell’elezione diretta del premier e tornare invece a un sistema proporzionale, corredato da preferenze, dall’indicazione del candidato premier e da un premio di maggioranza. Un compromesso che tenterebbe di conciliare governabilità e rappresentanza.

La proposta, tuttavia, è caduta nel vuoto. Nessuna reazione da parte delle opposizioni, né dai partner di governo. Un silenzio assordante che conferma la distanza tra il Palazzo e il Paese reale. Eppure, mai come ora, è chiaro che solo un ritorno al proporzionale e alle preferenze può ricucire lo strappo tra cittadini e politica, può offrire uno spazio vero di rappresentanza, restituendo voce a culture politiche oggi marginalizzate e territori abbandonati.

Proprio per questo, un gruppo di cittadini ha deciso di agire. Non si riconoscono in un sistema autoreferenziale e perciò intendono raccogliere le 50.000 firme necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare. Mattia Orioli con il comitato ha già formalizzato giorni fa l’iniziativa da intraprendere presso la Corte Suprema di Cassazione. Tre sono i punti centrali: reintrodurre il proporzionale puro; restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti attraverso le preferenze; istituire il “cancelleriato alla tedesca”, ovvero la sfiducia costruttiva, che permette la caduta del governo solo quando esiste già una nuova maggioranza pronta a subentrare.

Queste proposte non solo rafforzano il Parlamento, rendendolo realmente espressione del popolo e non dei partiti, ma offrono anche ai governi una legittimità solida, costruita sul consenso e non sugli artifici. In un momento in cui maggioranza e opposizione sembrano più interessate a negoziare su tavoli opachi che a costruire riforme condivise, l’iniziativa popolare emerge come un atto di democrazia dal basso, una scossa salutare a un sistema paralizzato.

Riformare la legge elettorale non è solo una questione tecnica: è il cuore della democrazia. Perché è dal voto, libero e consapevole, che nasce la sovranità del Parlamento. E con essa, la credibilità della Repubblica.

 

Legge elettorale, perché l’iniziativa popolare è una scossa salutare

Un gruppo di cittadini ha deciso di raccogliere le 50.000 firme necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare. Mattia Orioli con il comitato ha già formalizzato giorni fa l’iniziativa da intraprendere presso la Corte Suprema di Cassazione. I punti centrali sono reintrodurre il proporzionale puro; restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti attraverso le preferenze; istituire il “cancelleriato alla tedesca”

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