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L’attacco missilistico degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv rappresenta un punto di svolta nella strategia militare israeliana. Mentre Netanyahu convoca il consiglio di guerra, gli analisti militari delineano un ventaglio di opzioni che potrebbero ridisegnare gli equilibri regionali, con implicazioni profonde per la sicurezza dell’aviazione civile e la stabilità economica di Israele.

L’incapacità dei sistemi Arrow 3 e THAAD di intercettare il missile ipersonico yemenita ha esposto una vulnerabilità critica nelle difese israeliane, considerate tra le più sofisticate al mondo. Secondo fonti militari, il missile avrebbe raggiunto velocità ipersoniche sfruttando tecnologia derivata dai sistemi iraniani, rendendo inefficaci i sistemi di intercettazione convenzionali. La rottura del tacito accordo con Washington – che aveva chiesto a Israele di moderare gli attacchi allo Yemen per permettere una soluzione diplomatica – potrebbe ora facilitare un’operazione congiunta anglo-americana.

Le precedenti operazioni di Israele contro gli Houthi forniscono un template istruttivo ma possono essere considerate un preambolo. I raid dell’Operazione Long Arm (luglio-settembre 2024) hanno colpito infrastrutture portuali critiche come Al-Hudaydah e depositi di carburante a Ras Isa, distruggendo milioni di barili di petrolio iraniano. Ma queste operazioni, pur efficaci, non hanno impedito agli Houthi di ricostruire e migliorare le loro capacità missilistiche con l’aiuto iraniano.

Le opzioni più probabili per la risposta includono una campagna sistematica contro le basi missilistiche nascoste tra le montagne yemenite. Gli F-35 israeliani potrebbero utilizzare le bombe bunker-buster GBU-57 per colpire i lanciatori sotterranei, mentre gli F-15 Strike Eagle, armati con i missili Rocks a lungo raggio, potrebbero restare al riparo dalle difese aeree, dimostrando una capacità di proiezione di forza senza precedenti nella regione.

Un’escalation significativa potrebbe coinvolgere il porto di Al-Hudaydah, snodo cruciale per i rifornimenti iraniani. Il suo blocco o distruzione paralizzerebbe le capacità belliche degli Houthi ma aumenterebbe anche la crisi umanitaria in un paese già devastato dalla guerra. La presenza strategica di KC-46 e KC-135 già posizionati per supportare le operazioni americane in Yemen potrebbe facilitare raid congiunti a lungo raggio, con le basi saudite che fungerebbero da hub logistico per gli F-16CJ specializzati nella soppressione delle difese aeree.

La risposta israeliana dovrà bilanciare l’imperativo della rappresaglia con il rischio di un’escalation regionale che coinvolga l’Iran. Il matrimonio tra potenza aerea e forze speciali rappresenterebbe il cuore della strategia, un modello di operazioni congiunte ed integrate che potrebbe ridefinire le operazioni militari nel Mar Rosso. Lo Shayetet 13, dopo il successo di Batroun, possiede ora una road map operativa preziosa: i commandos potrebbero infiltrarsi via sommergibile dalla baia di Aden, muovendosi sia lungo la costa che penetrando profondamente nell’entroterra montagnoso yemenita, dove si trovano i principali siti di lancio e depositi missilistici. Queste operazioni permetterebbero di raccogliere intelligence in tempo reale e designare obiettivi per gli F-35. Lo scenario più probabile vedrebbe un’operazione sincronizzata dove le forze speciali israeliane, utilizzando piccoli velivoli stealth come già testato in Iran, neutralizzerebbero le installazioni radar costiere, aprendo corridoi per gli attacchi aerei. Gli F-35 seguirebbero con strike su depositi missilistici, mentre gli F-15 potrebbero colpire obiettivi secondari con missili Rocks da 300 km di distanza. Le unità Shayetet potrebbero inoltre condurre operazioni subacquee contro il porto di Al-Hudaydah, potenzialmente utilizzando mine limpet sulle navi iraniane ancorate per tagliare la linea di rifornimento cruciale degli Houthi.

La dimensione anglo-americana dipenderà dalla geografia e dalla politica. La distanza di 2.000 km dallo Yemen rende necessario il supporto logistico americano: i KC-46 sarebbero indispensabili per rifornire gli F-35 in volo, mentre la base Prince Sultan diventerebbe il trampolino operativo. La presenza di forze speciali americane e britanniche nella regione suggerisce una possibile spartizione dei compiti: Israele colpirebbe gli obiettivi ad alta priorità come i siti di lancio missilistici, mentre le forze angloamericane si concentrerebbero sulla distruzione dell’infrastruttura logistica.

Un’operazione unilaterale israeliana rimane tecnicamente possibile, ma strategicamente rischiosa. La vulnerabilità principale sarebbe la lunga linea di comunicazione, esposta agli attacchi iraniani lungo tutto il Golfo Persico. Il supporto americano non implica necessariamente la partecipazione diretta: Washington potrebbe limitarsi a fornire intelligence satellitare e supporto logistico, permettendo a Israele di mantenere il controllo operativo ma con una postura politicamente sostenibile.

La decisione finale dipenderà dal calcolo di Netanyahu: dimostrare la capacità israeliana di agire autonomamente o accettare il supporto internazionale per garantire il successo dell’operazione. In entrambi i casi, la combinazione di attacchi aerei e forze speciali rappresenterebbe un salto qualitativo nella proiezione di potenza a lungo raggio di Israele.

Il fattore Trump complica l’equazione strategica. Il presidente americano, che aveva chiesto moderazione nello Yemen per testare un approccio diplomatico, potrebbe ora vedere il fallimento di tale approccio come un’opportunità per una dimostrazione di forza congiunta.

In questo scacchiere complesso, dove ogni mossa può provocare conseguenze imprevedibili, la prossima decisione di Netanyahu potrebbe ridefinire non solo la sicurezza israeliana, ma l’intero equilibrio di potere nel Medio Oriente, stabilendo un nuovo parametro per le operazioni militari nella regione.

Verso una risposta strategica, scenari operativi dopo il missile Houthi su Tel Aviv. Scrive Caruso

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