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“Geotecnologia, connettività e ordine mondiale. Quale futuro per l’Italia” è il tema della lezione tenuta dal Consigliere della presidenza del Consiglio dei ministri e docente presso l’Università di Sassari, Giuseppe Rao, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Il docente ha innanzitutto richiamato l’insegnamento di Kissinger: l’ordine mondiale si basa su due componenti: un insieme di regole accettate in grado di definire i limiti delle azioni ammissibili; un equilibrio di potere che imponga un controllo quando le regole vengono meno, impedendo che un’unità politica assoggetti tutte le altre. L’ordine mondiale, che esprime i rapporti di forza e gli equilibri tra potenze, tende a mutare ovvero collassare quando l’equilibrio subisce una mutazione radicale, per effetto di guerre oppure di processi durevoli – ad es. la supremazia tecnologica – che consumano o promuovono il rango di una potenza.

Rao individua l’inizio del mondo moderno nella Rivoluzione scientifica (1543-1687) e in particolare nelle parole di Francesco Bacone, che nel suo manifesto scientifico del 1620, Novum Organum, afferma che: “La conoscenza è potere”. Convinto che il sapere debba essere utilizzato per incidere nella realtà, Bacone ha compreso la relazione tra scienza e tecnica, al punto che con lui si può parlare di «tecnoscienza».

Con l’avvento delle Rivoluzioni industriali le tecnologie e la connettività (in origine le rotte oceaniche, poi le infrastrutture di rete, lo spazio, la logistica e la supply chain) hanno determinato, in successione, le gerarchie nell’ordine mondiale: l’impero britannico; il predominio degli Stati Uniti d’America; la «guerra fredda»; il ritorno dell’egemonia «unilaterale» degli Usa; da ultimo l’ascesa della Cina e l’avvento di nuove potenze tecnologiche (soprattutto asiatiche) che rivendicano un ordine mondiale multilaterale.

Il docente ha introdotto il concetto di geotecnologia, un neologismo con cui indichiamo la scienza che studia i rapporti di forza e i condizionamenti nelle relazioni internazionali determinati dalla capacità di uno Stato (o di alleanze tra Stati) e delle multinazionali di ideare, produrre e brevettare tecnologie high-ended emergenti, in grado di determinare ricadute industriali e nei modelli organizzativi in settori rilevanti per lo sviluppo della civiltà (meccanica, salute, agricoltura, energia, trasporti, spazio, applicazioni militari, attività creative e culturali, servizi ad alto valore aggiunto, supply chain, logistica).

La Quarta rivoluzione industriale è caratterizzata dall’avvento delle tecnologie emergenti (Intelligenza artificiale, Machine learning, Robotica collaborativa, Nanotecnologie, Nuovi materiali, Big Data, Blockchain, Internet of Things, Cloud, Realtà aumentata, Calcolo quantistico, 5G, ecc.) e delle piattaforme digitali.

Queste ultime sono infrastrutture che utilizzano sofisticate tecnologie e algoritmi per offrire accesso a beni e servizi tra loro connessi; esse hanno creato ecosistemi dove noi navighiamo, chattiamo, condividiamo o compriamo.

I maggiori colossi del settore (Amazon, Google, Apple, Facebook, Instagram, Netflix) hanno acquisito un immenso potere economico; le piattaforme sono in grado di condizionare le opinioni e gli stili di vita dei cittadini senza che gli Stati siano in grado di imporre regole sul loro funzionamento.

Infine stiamo assistendo ad un dispiegamento di connettività fisica di strade, ferrovie, reti elettriche, rotte aeree, gasdotti, cavi (inclusa la fibra ottica) con una pervasività e una velocità mai raggiunte (Parag Khanna).

Tecnologie emergenti, piattaforme digitali e connettività, senza dimenticare la finanza internazionale, hanno rimesso in discussione il nuovo ordine mondiale e quindi gli assetti politici, economici e sociali del pianeta – con la conseguente esclusione dai processi e dal benessere dei Paesi (e dei popoli) tecnologicamente meno avanzati.
Rao ha quindi analizzato il ruolo delle organizzazioni internazionali, mettendo in risalto il ruolo, in un’ottica di nuovo multilateralismo, esercitato dalle aggregazioni tra Paesi emergenti, come i Brics, e dalle organizzazioni regionali; tra queste la Shanghai Cooperation Organization che riunisce Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan (e, fra poco, Iran), con il fine di discutere di cooperazione politica, economica, culturale e di sicurezza. È la maggiore organizzazione regionale nel mondo per copertura geografica (tre quinti del continente euroasiatico) e per popolazione (circa la metà del pianeta).

Il docente ha poi rivolto l’attenzione sul rapporto tra Cina e Stati Uniti. Pechino sin dagli anni ’80 ha avviato politiche di attrazione di investimenti stranieri con l’obiettivo di acquisire il know how necessario, in prospettiva, per diventare la maggiore potenza tecnologica del pianeta.

L’Occidente, di fatto, ha favorito l’ascesa cinese. Nel 2001 la Cina è stata ammessa al WTO con condizioni asimmetriche favorevoli: basso costo del lavoro, aiuti di Stato alle imprese locali e obbligo di trasferimento tecnologico. Bill Clinton e poi George W. Bush nutrivano la convinzione che l’apertura al commercio internazionale avrebbe determinato l’implosione del sistema politico.

Biden ora sostiene che l’entrata della Cina nel Wto è stato “uno dei maggiori disastri geopolitici ed economici della storia” perché ha facilitato la crescita tecnologica e industriale del Paese. Oggi la Cina, anche grazie ai piani di breve, medio e lungo periodo: è la seconda potenza economica, divenuta leader in alcuni settori a tecnologia avanzata; ha un avanzatissimo sistema di connettività e di supply chain; ha il maggior numero di imprese nella classifica Fortune 500 (145, contro 124 Usa); svolge un ruolo essenziale nell’estrazione e nella lavorazione delle terre rare; è il primo mercato del mondo in numerosi settori – pertanto fondamentale per le multinazionali; detiene una quota rilevante, circa il 5,6%, del debito pubblico americano. Quando si analizza la politica di Biden nei confronti della Cina occorre studiare i dati economici, industriali e tecnologici.

Infine Rao si è soffermato sul declino dell’Italia – evidenziato dagli gli indicatori economici (ad es. l’unico Paese occidentale in cui negli ultimi venti si è assistito ad una decrescita del Pil pro capite) e sociali.

Il docente ritiene che il declino sia iniziato innanzitutto con le privatizzazioni e le vendite delle grandi imprese private, che hanno sottratto al Paese il patrimonio industriale creato dai nostri padri e che ci aveva portato ad essere la quinta/sesta potenza mondiale. In secondo luogo con l’inchiesta “mani pulite” si è assistito alla cancellazione dei partiti che hanno costruito la Repubblica e il miracolo economico – reso possibile dalla visione lungimirante dell’Assemblea Costituente che, con gli articoli 41-43 della nostra Carta, ha previsto la programmazione e l’economia mista.

La politica ha ora una visione sul ruolo dell’Italia nella comunità internazionale? L’Italia deve programmare lo sviluppo nel medio periodo attraverso il ritorno dello Stato nell’economia, gli investimenti nelle tecnologie emergenti e le politiche tese alla creazione dei sistemi di connettività efficienti e integrati, essenziali per promuovere competitività, sicurezza e turismo, nonché per combattere declino demografico ed emigrazione.

Occorre recuperare la capacità di negoziazione con gli altri Stati in chiave di reciprocità negli investimenti e nelle collaborazioni industriali, e ciò anche per prevenire quel “fuoco amico” che ha spesso imperversato nella nostra storia. Ricordiamo anche la cessione di asset nazionali e l’accordo sulla Via della Seta con la Cina in assenza di contropartite economiche. L’Italia deve tornare a essere attore geopolitico – a partire dal Mediterraneo – per promuovere gli interessi nazionali e quindi il benessere della popolazione – è stata la chiosa di Rao.

Geotecnologia e ordine mondiale. Il futuro dell'intelligence secondo Rao

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