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L’Ecofin del 17 gennaio si è chiuso con un comunicato, scarno e secco, di approvazione del programma di lavoro per questo semestre in cui la presidenza è affidata alla Svezia. Ha anche adottato conclusioni sulla relazione 2023 sul meccanismo di allerta, nonché sull’analisi annuale della crescita sostenibile 2023, e approvato la raccomandazione 2023 sulla politica economica della zona euro che sarà sottoposta all’approvazione del Consiglio europeo nella riunione di marzo. In effetti, tutti atti “dovuti”, ma, quanto meno nelle comunicazioni ufficiali, manca quella che a Roma viene chiamata “la ciccia”, ossia un cenno alla posizioni da prendere nelle relazioni Unione europea (Ue) – Stati Uniti (Usa) dopo il massiccio programma di aiuti all’industria americana che il Congresso ha approvato ed entrerà in vigore il primo marzo, causando distorsioni al commercio mondiale e danneggiando le imprese europee.

Il Commissario europeo alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, in carica dal 2014 nell’ambito della Commissione Juncker e riconfermata nella commissione von der Leyen (quindi, persona di grande esperienza), ha avvertito che muoversi in ordine sparso rischia di minacciare la tenuta del “mercato unico” a ragione della differente “capacità fiscale” dei vari Paesi. La Germania ha già varato una “risposta” agli Usa con un vasto programma di aiuti alle imprese, di cui l’Italia non potrà replicare che una minima parte a ragione delle profondamente differenti situazioni di finanza pubblica.

Il primo febbraio la Commissione europea presenterà una proposta che verrà esaminato il 9-10 febbraio e successivamente il 23-24 marzo dal Consiglio dei Capi di Stato e di governo dell’Ue: il documento sarà così corposo che si prevedono già due sessioni del più alto organo dell’Ue per esaminarlo e per tentare di giungere ad un accordo. Tra le voci che si raccolgono negli sconfinati corridoi felpati di Bruxelles, la Commissione proporrebbe un “fondo sovrano” per le imprese non troppo differente dalla “facility” del Next Generation Eu. Verrebbe varato nel secondo semestre del 2023 quando la Spagna (più sensibile della Svezia a queste tematiche) avrà la presidenza di turno dell’Ue.

È un’idea buona ma riduttiva, mentre ci vorrebbe quella che gli anglosassoni chiamano la long view, una visione di lungo termine e di grande respiro. Dopo anni in cui Ue e Usa sono stati presentati come espressione di Stati “decadenti” incapaci di decidere con la speditezza necessaria, se confrontati con la presunta capacità decisionale di Stati autoritari come Cina e Russia, c’è esigenza di una “strategia dell’euro e del dollaro” che rassomigli, in un certo qual modo, alla “diplomazia del dollaro e della sterlina”, mirabilmente descritta in un libro del lontano 1957 (aggiornato nel 1969) dall’allora giovane Richard Gardner (che per quattro anni lasciò la cattedra alla Columbia University per fare l’Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma). Gardner era Rhodes Scholar a Oxford ed ebbe accesso a corrispondenza privata tra Keynes ed Harrod. Descrisse con cura i quattro anni di negoziati che portarono al “nuovo ordine internazionale” che almeno per quaranta anni ha portato prosperità e libertà. Ora le comunicazioni sono più rapide ed i tempi possono essere più ristretti. La “strategia dell’euro e del dollaro” dovrebbe non solo portare da una convergenza delle politiche industriali Usa ed Ue, non a divergenza, per essere compatta e più efficace di fronte alle sirene di Cina e Russia (e dei loro simpatizzanti anche in Occidente), ma avere una comune base valoriale: andare verso un mondo più libero. All’interno dell’Ue, l’Italia può avere un ruolo importante nel costruire una stretta collaborazione con Germania e Francia.

I traguardi immediati sono due a) tornare alla crescita (unico modo per creare reddito ed occupazione); b) risolvere nel medio e lungo periodo il problema dei debiti delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e delle famiglie.

Per tornare alla crescita, la comunità internazionale si è dotata di uno strumento da quaranta anni, utilizzato per decenni in Paesi in via di sviluppo ed in Paesi emergenti e più recentemente anche dalla Banca centrale europea ed ora pure dalla Commissione europea: il finanziamento dello “sviluppo strutturale”, ossia di riforme ed investimenti per innescare un “circuito virtuoso” di crescita. Tali sono i vari Piani nazionali di ripesa e resilienza (Pnrr).

Occorre, però, chiedersi se le istituzioni finanziarie internazionali hanno un capitale sufficiente per potere avere accesso al mercato con il “preferred credit treatment”, ossia essere trattate come creditori privilegiati in termini di tassi di interesse ed altre condizioni per il collocamento delle loro obbligazioni. Il servizio studi della Banca d’Italia ha pubblicato (circa un anno fa) un utile Occasional Paper su questo tema, “Will multilateral development banks weather the Covid-19 crisis?” di Raffaele De Marchi e Riccardo Sorrentino. È un buon punto di partenza che può essere arricchito da contributi di altre istituzioni finanziarie sia nazionali sia internazionali.

Per il debito – come ci insegna Olivier Blanchard – la strada maestra è l’allungamento delle scadenze in modo che venga smaltito man mano che si consolida il processo di crescita. Ciò comporta un accordo tra istituzioni finanziarie internazionali, anche a livello regionale. Ed un intesa tra Bce e Federal Reserve Board, necessaria per un’efficace strategia dell’euro e del dollaro.

La strategia dell’euro e del dollaro. L'analisi di Pennisi

Dopo anni in cui Ue e Usa sono stati presentati come espressione di Stati “decadenti” incapaci di decidere con la speditezza necessaria, se confrontati con la presunta capacità decisionale di Stati autoritari come Cina e Russia, c’è esigenza di una “strategia dell’euro e del dollaro” che rassomigli, in un certo qual modo, alla “diplomazia del dollaro e della sterlina”

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