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Il Dragone perde il pelo, ma non certo il vizio. La Cina, che fuori dai suoi confini sembra invincibile, continua a tenere sotto il tappeto e quindi a nascondere al mondo i suoi innumerevoli guai. Guai grossi per un’economia a due facce. La questione è nota da tempo ed è stata raccontata a più riprese da questo giornale: i governi locali, oberati da passività palesi e soprattutto nascoste, faticano a saldare i fornitori e in molti casi hanno fatto ricorso ai cosiddetti veicoli di finanziamento, diventati uno dei principali moltiplicatori del debito sommerso. Secondo i dati del ministero delle Finanze della Repubblica Popolare Cinese, il valore di queste passività occulte aveva già raggiunto i 14,3 trilioni di yuan a fine 2023, rendendo poco credibile il target fissato per ridurlo a 2,3 trilioni entro il 2028.

Adesso è in arrivo l’ennesimo salvataggio, con soldi pubblici. Uno dei tanti visti in questi anni, se non fosse che stavolta è la cifra a fare la differenza. Sotto forma di piano da 1.000 miliardi di dollari, un trilione: l’obiettivo è ripianare circa un terzo del debito accumulato dagli enti locali, senza però ricorrere a nuovi stimoli diretti. Una mossa che riflette la crescente preoccupazione del presidente Xi Jinping, che ha più volte parlato del rischio di insolvenza delle municipalità e dell’impatto che questo potrebbe avere sulla fiducia degli investitori. Un vero e proprio whatever it takes in salsa cinese.

Secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale, l’esposizione delle amministrazioni locali ha raggiunto i 92 mila miliardi di yuan (12,6mila miliardi di dollari), ovvero il 76% della produzione economica cinese nel 2022, rispetto al 62% del 2019. Domanda, come si è arrivati a tutto questo? Le radici della crisi affondano nella forte dipendenza dei governi locali dalla vendita di terreni come fonte di entrate, un modello che la pandemia e il rallentamento del mercato immobiliare hanno reso insostenibile. Ne è derivato un effetto a catena: fatture non pagate, pressione crescente sul settore privato e timori di un domino di default municipali.

Certo è che a Pechino l’allarme rosso è scattato da tempo. Negli ultimi mesi il governo centrale ha già introdotto correttivi: a novembre l’Assemblea nazionale del popolo ha innalzato il tetto massimo per l’emissione di obbligazioni speciali da parte dei governi locali, portandolo da 29,52 a 35,52 trilioni di yuan. Una boccata d’ossigeno che tuttavia non genera nuova crescita, perché spesso i fondi vengono usati soltanto per sostituire debiti vecchi con debiti ufficiali, senza avviare progetti produttivi.

Pensare che vista da fuori la Cina sembra molto diversa. A cominciare dalla sua forza industriale, che sta trovando nell’auto la sua massima espressione. E Byd ne è l’emblema, avanzando chilometro dopo chilometro verso il cuore dell’Europa. A pochi giorni dalla discussa campagna pubblicitaria a mezzo stampa e con tocco polemico verso il governo italiano, il costruttore ha infatti scelto Milano per rafforzare la sua presenza in Europa. Ma non sarà un semplice quartier generale, ma un vero e proprio hub che ospiterà anche il Centro Stile europeo, con oltre 50 postazioni in open space e una virtual room dedicata alla progettazione. Ubicata nel centro della città meneghina, in Via Quadrio, tra Piazza Gae Aulenti e Porta Garibaldi, aprirà i battenti entro fine di settembre.

Soliti guai cinesi. Una nuova bomba debito per Pechino

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