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Washington e Taipei hanno riacceso il canale militare nel modo più discreto possibile: una stretta di mano ad Anchorage, lontano dai riflettori di Washington e dalle suscettibilità cinesi. Nel mentre, Pechino mostra i muscoli al mondo intero e continua la sua graduale e costante proiezione verso Taiwan.

I colloqui in Alaska

La scelta dell’Alaska racconta molto della fase. Gli Stati Uniti tengono aperto il rubinetto del coordinamento con l’isola, ma misurano simboli, livelli e tempi per non compromettere la partita più ampia con Pechino. A guidare il confronto, l’indo-pacificista Jed Royal per il Pentagono e Hsu Szu-chien per Taipei, appena promosso nell’entourage del consigliere per la sicurezza nazionale Joseph Wu. Non è il faccia a faccia che mesi fa si immaginava a Washington con Elbridge Colby e il ministro Wellington Koo. Quell’incontro fu annullato all’ultimo, ufficialmente per la coincidenza con i raid Usa contro obiettivi iraniani, ufficiosamente per il timore di bruciare un summit Trump-Xi. L’Alaska è l’atto di equilibrio e sintesi di un’amministrazione che vuole rassicurare Taiwan senza archiviare il dialogo con la Cina.

Sull’isola

A Taipei, intanto, Lai Ching-te gioca su un campo più stretto rispetto all’era Tsai. Spinge l’acceleratore sulla difesa (budget +23%, oltre il 3,3% del Pil) e combatte con una numerosa opposizione in Aula. E manda messaggi a Washington anche attraverso circuiti non convenzionali: Bikhim Hsiao e l’ambasciatore Alexander Yui trovano sensibilità in media vicini al mondo Maga per disinnescare il sospetto di un raffreddamento. Perché i dubbi esistono. Il decisionismo transazionale di Trump, la sensibilità pro-deal con leader autoritari, la priorità alla trattativa commerciale.

Da Pechino

Intanto Pechino avanza dove fa più male: nella zona grigia e nelle infrastrutture. Taipei ha accusato la Cina di violare il diritto del mare trivellando petrolio e gas dentro la Zee taiwanese, a ridosso delle Dongsha/Pratas. Piattaforme, jackets e navi di supporto della statale Cnooc, alcune presenti da anni e mai emerse nel dibattito pubblico, sono state localizzate anche a poche decine di chilometri da aree sensibili.

Il classico sovereignty shaving? Si normalizza l’anomalia, si rende costosa la reazione politica e ancora di più quella operativa. Taiwan è in difficoltà: non fa parte dell’Unclos né dei suoi meccanismi arbitrali, capacità marittime limitate, quadro normativo domestico non chiarissimo su cosa e dove si pattuglia. In parallelo cresce la rete materiale dell’Esercito popolare: basi anfibie e nuove banchine lungo la costa, un molo di oltre un miglio nella baia di Yueqing, un hub elicotteri in Fujian a ridosso delle spiagge più vulnerabili, mega-aeroporti dual use come Xiamen-Xiang’an a due miglia scarse da Kinmen e l’espansione dello scalo vicino a Fuzhou. È l’abilitazione logistica di uno scenario operativo Taiwan.

Le immagini satellitari riportate dal Wall Street Journal raccontano l’ampliamento di infrastrutture anfibie e aeree lungo la costa cinese orientale. A nord di Shanghai, dove il fiume Yangtze si apre sul Mar Cinese Orientale, un’area bonificata cinque anni fa è oggi diventata una base anfibia completa, con molo lungo, runway per elicotteri, caserme, depositi carburante cementificati e camuffati, e persino file di campi da basket e pickleball. A maggio erano ormeggiate una dozzina di unità, inclusa una Type 075 a ponte continuo. Con una capacità combinata stimata intorno ai cinquemila uomini. A testimoniare l’impegno tattico e logistico, la struttura è predisposta per innesti ferroviari verso l’alta velocità, per accelerare l’afflusso di truppe e mezzi da caricare. Più a sud, nella baia di Yueqing è comparso un molo di oltre un miglio, sufficiente a ospitare un’ampia flottiglia di trasporti carri, mezzi da sbarco, petroliere e guardacoste. In Fujian, di fronte a Taiwan, una base elicotteri dell’Esercito, già predisposta per operazioni con droni, è ben posizionata per raggiungere le spiagge sud-occidentali dell’isola principale e le Penghu, snodo fondamentale in un’operazione anfibia.  A chiudere il quadro, i mega-aeroporti civili a doppio uso. Quello di Xiamen-Xiang’an, costruito tramite dragaggio,  e quello di Fuzhou.

La percezione

L’avanzamento logistico e militare e diplomatico è accompagnato dal dominio cognitivo. “Zero Day Attack”, serie televisiva taiwanese lanciata il 2 agosto, mette in scena un incidente aereo militare cinese che diventa blocco de facto dell’isola. Rete intermittente, pagamenti in tilt, attacchi cyber e sabotaggi.

Intrattenimento con funzione civile, come sottolinea Elisabeth Braw a Foreign Policy, quella di abituare la società a immaginare l’eventuale shock. La serie è finanziata dal fondo pubblico del ministero della Cultura e punta a sensibilizzare la popolazione dell’isola ma mette a nudo anche una frattura industriale.  Gran parte del cinema e della tv commerciale taiwanesi ha infatti evitato il progetto, temendo ricadute politiche o di perdere l’accesso a un mercato, quello cinese, da 42,5 miliardi di renminbi al botteghino 2024, quasi trenta volte i 6,2 miliardi di dollari taiwanesi dell’isola. Il risultato è un ecosistema che pratica un’ampia autocensura preventiva. A testimonianza del fatto che l’intrattenimento, oggi, non è confinato a sé stesso.

Ne esce un quadro chiaro. Washington tiene la presa con Taiwan, preferendo canali di contatto meno evidenti. La Cina procede, dalla dimensione militare a quella politica ed economica verso la costruzione di una abilitazione al conflitto, non dichiarata ma de facto ricercata, dal fondale marino allo spazio aereo. Taipei prova a reggere. Più budget, più coordinamento, più alfabetizzazione al rischio. La stabilità dello Stretto oggi è una questione di equilibri. Una riunione ad Anchorage, una piattaforma al largo di Dongsha, una pista nuova a Fuzhou, una serie tv in prima serata. Bastano piccoli scarti, in una direzione o nell’altra, per spostare l’asticella.

Da Anchorage a Taipei. Tutte le mosse nello Stretto

Ad Anchorage, Washington e Taipei alimentano il canale di comunicazione, lontano dai riflettori e dalle tensioni dirette con Pechino, che intanto punge nella zona grigia, tra trivellazioni e basi anfibie a ridosso dello Stretto

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