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Donald Trump voleva Xi Jinping all’Inauguration del 20 gennaio, ma secondo uno scoop del Financial Times Pechino — che non ha mai pensato che il leader potesse abbassarsi a tanto — ha deciso di inviare un emissario di alto livello alla cerimonia di inizio ufficiale del secondo mandato della presidenza Trump, segnando comunque una mossa senza precedenti, volta a ridurre le tensioni tra le due superpotenze. O quanto meno a dimostrare volontà di dialogo (certamente “con caratteristiche cinesi”, ma quello è un fattore logico dell’eventuale processo di macro trattativa, che Trump stesso potrebbe comprendere come gioco delle parti).

Un’iniziativa senza precedenti

Secondo diverse fonti citate dall’informatissimo Demitri Sevastopulo, Pechino ha informato il team di transizione di Trump che un alto funzionario cinese parteciperà alla cerimonia del 20 gennaio al posto del presidente Xi — ufficialmente invitato. Oltre alla presenza formale, l’inviato dovrebbe anche tenere incontri con i consiglieri di Trump. La Cina, in passato, è sempre stata rappresentata dal proprio ambasciatore a Washington in queste occasioni, rendendo tale decisione un segnale chiaro della volontà di Pechino di instaurare un dialogo diretto, di massimo livello con la nuova amministrazione.

L’invito a Xi Jinping, esteso personalmente da Trump, rappresentava già un tentativo di riprendere quel tipo di comunicazione ad alto livello che aveva caratterizzato il primo mandato del repubblicano. Tuttavia, il leader cinese ha scelto di non partecipare, probabilmente per evitare il rischio politico interno di un viaggio dagli esiti incerti.

Trump, il leader transazionale

L’apparente apertura di Trump nei confronti di Pechino non deve sorprendere se inquadrata nella sua visione della politica internazionale. Come scrive Yair Rosenberg sul The Atlantic, Trump è “un leader palesemente transazionale con poche, se non nessuna, convinzione fondamentale”. Questo lo distingue dai politici tradizionali e gli permette di compiere mosse che altri leader non oserebbero. L’assenza di un quadro ideologico rigido significa che Trump non si vincola a strategie coerenti o dottrine consolidate: ogni decisione è valutata in termini di convenienza immediata.

Era stato il suo ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton a spiegare che Trump non ha filosofia o grande strategia; non fa nemmeno politica in alcun senso riconoscibile, ma opera su una “base transazionale e ad hoc”, decidendo su “interesse personale”.

Questa caratteristica può generare due reazioni opposte tra gli attori globali. Da un lato, molti vedono l’imprevedibilità di Trump come un rischio da contenere; dall’altro, alcuni la considerano un’opportunità, poiché significa che le relazioni non sono mai del tutto compromesse e possono essere ridefinite sulla base di accordi specifici. Ravi Agrawal, direttore di Foreign Policy, osserva che la natura transazionale di Trump non è necessariamente destabilizzante, ma può aprire spazi di manovra per chi sa adattarsi al suo stile.

Chi sarà l’inviato cinese?

E la Cina sembra interessata ad andare a vedere il gioco trumpiano. Tra i nomi che circolano per la missione diplomatica ci sono quello di Han Zheng, attuale vicepresidente della Repubblica Popolare, che in passato ha rappresentato Xi in occasioni cerimoniali, e Wang Yi, ministro degli Esteri.

Tuttavia, alcuni consiglieri di Trump avrebbero espresso il timore che una figura di livello non abbastanza elevato possa essere percepita come un segnale di scarsa considerazione da parte di Pechino. Washington ha in mano il gioco, e sceglie chi partecipa al tavolo.

Alcuni membri del team di transizione di Trump avrebbero suggerito la presenza di Cai Qi, membro del Comitato Permanente del Politburo e stretto collaboratore di Xi, il cui rango sarebbe più adeguato per dare avvio alla relazione con la nuova amministrazione americana su basi solide. Cai è il braccio destro del leader nella gestione del Partito, ha incontrato alcuni dirigenti statunitensi a Pechino, ma da quando è diventato capo dello staff due anni fa ha viaggiato all’estero solo con Xi.

Come ha sottolineato Dennis Wilder, ex consigliere della Casa Bianca per la Cina, la scelta di un inviato di rango elevato consentirebbe a Xi di avviare il dialogo senza il rischio di tornare in patria senza risultati concreti o, peggio, di subire un’umiliazione pubblica.

Il calcolo di Pechino: gestire l’imprevedibilità

Pechino teme un’intensificazione delle tensioni con Washington, specialmente dopo le nomine chiave effettuate da Trump in materia di sicurezza nazionale. Il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, e il suo vice, Alex Wong, sono entrambi noti per le loro posizioni dure nei confronti della Cina. A rafforzare questa linea ci sarà anche Marco Rubio, senatore repubblicano e tra i più critici di Pechino, scelto come nuovo Segretario di Stato.

Trump in persona, durante un’intervista al radio show di Hugh Hewitt, ha confermato che il suo team ha già avviato contatti con rappresentanti cinesi, pur ribadendo le sue critiche nei confronti di Pechino, in particolare per la gestione della pandemia di Covid nel 2020.

Equilibrio transazionale tra imprevedibilità e opportunità

L’invio di un emissario cinese all’inaugurazione di Trump risponde a una logica pragmatica. Pechino ha già affrontato la presidenza Trump una volta e ha imparato che il miglior modo per gestire la sua imprevedibilità è avere accesso diretto ai suoi consiglieri chiave.

Trump non è un politico tradizionale e non segue una linea coerente nelle sue decisioni. Questo crea instabilità, ma anche spazi di manovra. La Cina non sta cercando di stabilire un rapporto ideologico con la nuova amministrazione, ma piuttosto di posizionarsi in modo da poter negoziare di volta in volta le proprie priorità strategiche. L’invio di un rappresentante di alto livello rappresenta quindi un primo passo per evitare che le tensioni esplodano immediatamente e per costruire canali di comunicazione diretti con una Casa Bianca imprevedibile.

L’iniziativa cinese, dunque, non è soltanto un segnale di distensione, ma una mossa calcolata per adattarsi a una presidenza che opera su una base transazionale. Con Trump, tutto può essere negoziato, a patto di presentarsi con la giusta contropartita — poi saranno gli apparati a marcare paletti e priorità.

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