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Scusate il gioco di parole, ma il cavallo di battaglia portato avanti dalla Lega sta facendo la differenza nel dibattito pubblico. Molti sono gli interrogativi e ancor più i dubbi. Dopo la crisi pandemica e con il conflitto russo-ucraino ancora in corso, l’autonomia differenziata metterebbe a dura prova il nostro sistema sanitario ed energetico? La dicotomia socio-economica tra Nord e Sud è destinata a crescere? Come conciliare il centralismo del Pnrr con una soluzione localistica? La parola a Gianfranco Viesti, economista e meridionalista presso l’Università di Bari.

L’audizione del 15 dicembre presso la Commissione affari costituzionali alla Camera, lo sciopero dei sindacati…perché tanto fervore contro l’autonomia differenziata? Cosa comporterebbe, ad esempio, per il mondo della scuola, per il settore dell’energia, per la sanità, l’approvazione di una riforma del genere?

 Io non la chiamerei riforma, perché le riforme rappresentano una serie di cambiamenti a vantaggio dei cittadini. E, mi pare, che non sia questo il caso. Bensì, trattasi di una richiesta di poteri da parte di alcune regioni che implicherebbe delle conseguenze molto negative sia sul funzionamento del Paese, sia sulle disparità tra i cittadini. Ovvero, essendo una richiesta dalle dimensioni enormi, i suoi effetti sono molto differenziati nei diversi ambiti di applicazione, poiché influiscono sulle politiche pubbliche nel loro insieme, e alcuni di questi potrebbero essere ancora indefiniti al momento di accettare tale richiesta. In realtà, ciò che conta sono i dettagli del trasferimento di poteri, di risorse finanziarie e di personale. Dettagli che verrebbero stabiliti successivamente all’eventuale approvazione della richiesta di autonomia differenziata da parte di commissioni miste (governo-regione), le cui decisioni diverrebbero insindacabili.

Restiamo sul divario Nord-Sud. Assistiamo a una rivolta da parte delle regioni del Mezzogiorno e al silenzio di quelle del Nord. Proverbiale lo scontro tra Calderoli e Vincenzo De Luca. Il governatore della Campania non accetta che il tema dell’autonomia differenziata diventi cardine della narrazione leghista. È veramente a rischio l’unità nazionale? 

La vedo in tutt’altro modo. Innanzitutto, non è una questione di amministrazioni regionali, è una questione politica, nonché una discussione tra diverse forze politiche che riguarda tutti i cittadini. Le amministrazioni regionali sono protagoniste del dibattito in corso, perché alcune di esse hanno chiesto maggiori competenze, ma questo non esaurisce affatto l’importanza del tema. Ripeto, i cambiamenti avrebbero conseguenze negative sull’intero Paese e potrebbero avere i medesimi esiti sui cittadini delle regioni che rivendicano maggiore autonomia (ne ho scritto sulla rivista Il Mulino).  Non credo che ci sia alcun vantaggio nel vedere gli insegnanti dei propri figli selezionati da un assessore regionale piuttosto che da un concorso nazionale. Potrebbero patirne le conseguenze i cittadini delle regioni non coinvolte, se come chiedono Lombardia e Veneto, nel silenzio dell’Emilia-Romagna, questo cambiamento dovesse comportare un vantaggio a danno del resto del Paese. E quindi la questione Nord-Sud è una questione rilevante perché una parte della genesi della proposta è di natura economica, ma non è l’aspetto più importante.

Giorgia Meloni non sembra condividere il disegno di Calderoli. Lei crede che, alla fine, l’esecutivo agirà compatto verso l’autonomia differenziata oppure ci sarà una rottura significativa?

Quello che so è che la Presidente Giorgia Meloni, nel 2014, è stata prima firmataria di un disegno di legge costituzionale volto all’abolizione delle regioni. Quindi, non mi pare sia una sostenitrice di un decentramento così esagerato e asimmetrico come quello che vorrebbero le regioni che ne hanno fatto richiesta. Come si evolverà la questione non glielo so dire. Sicuramente, non si tratta di attuare l’articolo 116, secondo il quale una regione, in base a delle specifiche condizioni e a delle specifiche motivazioni, può chiedere una o più competenze. Questo è un disegno politico che mira a una radicale modifica del funzionamento dell’Italia, ergo a trasferire alle regioni poteri immensi e molto squilibrati. Naturalmente se, come nell’impostazione di Calderoli, non risulta necessario spiegare perché quella specifica regione pretende quella specifica competenza, ciò implica che le regioni a statuto ordinario possono chiedere tutte le competenze. In sintesi, significa cambiare la costituzione senza il processo previsto dall’articolo 138.

 Diciamo che l’attuazione del Pnrr, ossia di un piano nazionale centralizzato, e il sostegno all’autonomia differenziata costituisce un ossimoro…

Dunque, il Pnrr rappresenta una svolta importante perché è la politica più centralizzata attuata in Italia negli ultimi venticinque anni. A mio avviso, troppo centralizzata, nel senso che le decisioni sono state prese dal governo senza interloquire con le regioni, con gli enti locali e con le parti sociali, e senza porre la dovuta attenzione alle differenze territoriali esistenti. Insomma, un piano di investimenti calato dall’alto. L’eventuale attuazione dell’autonomia differenziata comporterebbe un affidamento confuso, ad alcune o a tutte le regioni, della gestione di questi servizi. Vorrei aggiungere che nei testi concordati nel 2019, tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e il Governo Conte I, era prevista la creazione di un fondo per gli investimenti a vantaggio di queste tre regioni; il cui significato concreto sarebbe andato in direzione diametralmente opposta ai timidi indirizzi del Pnrr di riequilibrio territoriale e alla stessa previsione dell’articolo 119, quinto comma della Costituzione, che prevede che ci siano dei fondi aggiuntivi e speciali da destinare, però, ai territori con più criticità, e non certo ai territori più ricchi del Paese.

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Di Giulia Gigante

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