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Confesso un pizzico di nostalgia. Gli Ufo che solcano i nostri cieli non vengono da mondi lontani o galassie remote. Non ci sono visitatori extraterrestri né benevoli come E.T. né malvagi in cerca di conquiste planetarie. Non c’è nessuno a bordo, solo strumenti che svolgono una delle attività più antiche del mondo: spiare il nemico, attuale o potenziale. Fra umani naturalmente. Ma il vulnerabilissimo pallone aerostatico cinese – tiro a bersaglio per l’AIM-9X Sidewinder lanciato da un F-22 americano che l’ha abbattuto al largo delle Caroline – minaccia la stabilità planetaria più degli invulnerabili “dischi volanti” tante volte avvistati ma mai sfiorati. È rivelatore dello stato dei rapporti fra le due maggiori potenze mondiali – brutto, tendente a peggiorare.

La minaccia agli equilibri internazionali non viene dall’apparentemente innocuo pallone aerostatico – su cosa ci fosse a bordo ne sapremo di più quando saranno recuperati tutti i detriti. Viene dai motivi che hanno spinto Pechino a utilizzare uno strumento così poco occultabile, con tanto di “made in China” in evidenza, per andare a curiosare sui silos dei Minuteman in Montana proprio in una fase di tentato disgelo diplomatico con Washington. Mancanza di comunicazione interna al sistema cinese? Errore di programmazione? Infelice coincidenza? Voluto sabotaggio di qualsiasi rinascente dialogo sino-americano?

Quand’anche nel tempismo del sorvolo americano non vi fosse intenzionalità specifica, quand’anche sia stato il vento a sospingerlo proprio sopra installazioni militari strategiche, il pallone abbattuto dagli americani fa parte di un sistematico programma cinese di sorveglianza dai cieli. Pechino lo presenta come finalizzato esclusivamente a ricerche meteorologiche. Vedremo cosa trovano i sommozzatori della Us Navy. Intanto, secondo l’intelligence americana dall’isola di Hainan sono stati lanciati palloni aerostatici su tutti e cinque i continenti. Bersagli principali non solo gli Stati Uniti ma anche, per esempio, l’India. Mentre uno appariva nei cieli dell’Alaska e del Canada, un altro si avvicinava all’America Latina per traversare il continente dal Pacifico all’Atlantico. La Cina non ne ha negato la paternità. La Colombia, che non ha missili intercontinentali a testata nucleare, non ha ritenuto di doversene preoccupare. Questi sorvoli pongono comunque un problema internazionale. La Cina non si è mai peritata né di informare i sorvolati né tanto meno chiedere loro autorizzazioni.

Per ora l’impatto si limita alle relazioni sino-americane. Il prolungato sorvolo del territorio di Stati Uniti e Canada e la forte reazione americana, completamente avallata da Ottawa, sono la cartina di tornasole del crescente confronto fra Pechino e Washington. Che nessuno dei due rivali strategici fa ormai mostra di nascondere. Anche la visita del segretario di Stato americano Antony Blinken a Pechino, caduta a seguito della scoperta del pallone cinese in volo sugli Stati Uniti, aveva lo scopo di gestire dissensi più che di ricucire consensi. Non è stata annullata, solo rinviata. C’è da augurarsi che sia rimessa presto in calendario. A eccezione dell’incontro di Xi Jinping e Joe Biden a margine del G20 di Bali, in Indonesia, a novembre e del faccia a faccia di ieri a Monaco tra Blinken e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Wang Yi, Cina e Stati Uniti non si parlano ad alto livello da troppo tempo. Ma, imperterriti continuano a fare affari: nel 2022, malgrado Nancy Pelosi a Taipei, malgrado le continue tensioni, l’interscambio commerciale ha toccato il record di 690,6 miliardi di dollari (dati americani). E sono aumentate di più le esportazioni Usa (153,8 miliardi) che non quelle cinesi (31,8) anche se il saldo rimane sbilanciato a favore di Pechino. Pure se i due Paesi vanno verso una nuova “guerra fredda”, le due economie rimangono “co-dipendenti” – per inciso, l’Europa non è in una situazione molto diversa.

L’obiettivo più realistico cui il dialogo possa puntare un modus vivendi fra Washington e Pechino: non a eliminare la competizione ma a regolarla. I principali nodi da superare sono tre: la questione dei controlli americani sempre più stringenti sui trasferimenti di tecnologia alla Cina e delle loro conseguenze negative per Pechino, per esempio sull’allontanamento degli investitori esteri; Taiwan, dove il do ut des dovrebbe essere la riaffermazione netta della One China policy da parte dell’amministrazione Biden in cambio dell’abbassamento di postura e minacce militari sull’isola da parte di Pechino; la guerra in Ucraina su cui la linea rossa americana resta la non fornitura di armi e assistenza militare cinese alla Russia – finora non attraversata se non, forse, per vie traverse e indirette con trasferimenti di tecnologia sostitutiva di quella occidentale, esportazioni dual use, connivenza nell’aggiramento di sanzioni.

L’interesse americano a una consultazione bilaterale sulla guerra russo-ucraina può adesso essere stato risvegliato dall’annuncio, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, di Wang di un piano di pace per l’Ucraina. L’iniziativa cinese dovrebbe venire alla luce fra circa un mese. C’è pertanto tempo per parlarne – se il dialogo si riannoda. Non è chiaro quanto ci si possa aspettare da uno Xi che rimane legato all’amicizia senza limiti con Vladimir Putin. Tuttavia è quanto meno incoraggiante l’anticipazione che nel piano cinese si difenderà “il principio dell’integrità territoriale e sovranità” – restando da vedere come sarà declinato per l’Ucraina.

Dialogo o non dialogo fra americani e cinesi, rimane la nostalgia degli Ufo. Chissà che non ricompaiano – o non se ne siano mai andati. Oltre al pallone spia – o meteorologico – Stati Uniti e Canada hanno abbattuto atri tre oggetti volanti sui loro cieli. La Cina non li rivendica. Le ricerche – sull’Alaska, sul lago Huron – sono state abbandonate. Non sapremo mai cosa fossero. Un tocco di mistero continua.

La Cina di Xi fa rimpiangere gli extraterrestri. Il commento dell’amb. Stefanini

La minaccia agli equilibri internazionali non viene dall’apparentemente innocuo pallone aerostatico bensì dai motivi che hanno spinto Pechino a utilizzare uno strumento così poco occultabile in una fase di tentato disgelo diplomatico con Washington. Il commento di Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica

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