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Una serie di notizie giungono da Oriente. Questa mattina le forze di Difesa di Taipei hanno riferito che ieri undici aerei e quattro imbarcazioni cinesi erano stati rilevati nei pressi dell’Isola. La sortita ha visto la risposta di Formosa che ha schierato navi e missili terrestri terra-aria. L’episodio è l’ennesimo atto di provocazione di Pechino che da agosto ha notevolmente intensificato le manovre militari nell’area, a seguito della visita della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi.

La vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, in visita in Giappone ha affermato che la presidenza di Joe Biden approfondirà i legami non ufficiali con Taiwan, in un nuovo avvertimento alla Cina. Nel mentre Mike Pompeo, ex segretario di Stato, tra i membri più duri con Pechino dell’amministrazione Trump, si è recato ieri a Formosa per un forum  d’affari durante il quale ha detto che l’epoca di “cieca collaborazione” con la Cina è finito, e che il comportamento aggressivo simboleggiato dalla leadership di Xi Jinping ha avvicinato tra loro i Paesi che sostengono l’indipendenza di Taipei.

“La condotta aggressiva, diplomaticamente, militarmente ed economicamente, ha cambiato la regione e ha avvicinato ancora di più coloro che preferiscono la pace e il commercio. Se vogliamo un XXI secolo libero, e non il secolo cinese, il secolo che Xi Jinping sogna, il vecchio paradigma dell’impegno cieco deve finire” – ha proseguito l’ex segretario di Stato. Come recentemente scritto su queste colonne Taiwan e gli Stati Uniti hanno intensificato i contatti ufficiali verso la fine del mandato di Donald Trump, e Mike Pompeo aveva giocato un ruolo cruciale nell’alterare l’ambiguità strategica perseguita per anni da Washington. Una linea, quella di Trump, ripresa dal Presidente Biden che ha più volte affermato che gli Stati Uniti appoggerebbero militarmente Formosa in caso di invasione cinese.

Domani il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, incontrerà il suo omologo delle Filippine Jose Faustino Jr per discutere delle questioni securitarie legate al Mar Cinese Meridionale. Secondo il segretario gli Usa sono preoccupati per l’attitudine coercitiva che la Cina ha assunto nell’intera area del Mar Cinese, fino alle isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano.

La scorsa settimana l’ambasciatore delle Filippine negli Stati Uniti, Jose Manuel Romualdez, ha confermato la disponibilità da parte di Manila di concedere basi alle forze armate statunitensi in caso di invasione cinese di Taiwan. L’ambasciatore si era soffermato sulla necessità di uno smorzamento delle tensioni nell’intero quadrante, sia da parte di Washington che di Pechino. “Manila ha una posizione neutrale in merito alla statualità di Taiwan, e stiamo capendo in che misura le Filippine coopererebbero con Washington in caso di conflitto, considerata la volontà espressa dal presidente Marcos di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti”, aveva affermato. Un conflitto aperto danneggerebbe fortemente  Manila, bloccando il commercio marittimo regionale e un’avvisaglia si è avuta quando le esercitazioni cinesi di agosto hanno sconfinato nella zona economica esclusiva filippina.

Le Filippine sono impegnate in una disputa territoriale con la Repubblica Popolare, proprio nel Mar Cinese Meridionale, e già l’ex presidente filippino Duterte aveva aperto alla possibilità di lasciare che truppe di Washington avessero accesso al Paese in caso di guerra. In realtà le forze americane mantengono una presenza stabile già dal 2014, quando i governi di allora siglarono un accordo di cooperazione nel campo della Difesa.

Insomma il cerchio si stringe intorno alla Repubblica Popolare, con Washington che sembra dare prova di abilità nel giocare le proprie carte con i Paesi dello scacchiere indopacifico.

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