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C’era una volta il famoso direttorio franco-tedesco, che in Europa dettava legge. Erano gli anni delle prime avvisaglie della crisi dei debiti sovrani, tra il 2005 e il 2010. Di lì a poco la Grecia sarebbe fallita, finendo in mano alla troika. E l’Italia, era l’estate 2011, ci sarebbe andata piuttosto vicino. Passata la tempesta la musica non cambiò, Parigi e Berlino continuarono a condizionare la politica monetaria continentale e le principali scelte della Commissione, diktat dopo diktat. Almeno fino alla pandemia, che ha riportato i due Paesi con i piedi per terra e ricordato che nessuna economia è indistruttibile (oggi l’Italia cresce più della Germania, nonostante i conti decisamente più in salute di quest’ultima).

VERSO UNA RISPOSTA EUROPEA AGLI USA

Dieci anni dopo, certi tic sono rimasti. Tra pochi giorni l’Europa sarà chiamata ad approvare un piano industriale dalla chiara impronta green il quale altro non è che la risposta dell’Unione al maxi-pacchetto di sussidi all’industria americana messo in campo dall’amministrazione Biden, che rischia di attrarre fior di imprese europee.

Ora, l’esito del Consiglio europeo è tutt’altro che scontato, non solo perché ormai Bruxelles ha abituato il mondo a clamorose impasse nei momenti più decisivi, ma anche perché la revisione delle condizioni per erogare aiuti di Stato da parte dei singoli Paesi membri in risposta all’ondata di sussidi Usa, rischia di agevolare proprio quei Paesi con i conti in ordine, come la Germania, i quali avranno una potenza di fuoco maggiore rispetto all’Italia, potendo spendere di più. Di qui la proposta, condivisa dalla stessa Ursula von der Leyen, di creare un fondo comunitario da 250 miliardi, affinché non ci siano disparità di trattamento. Prospettiva che ai Paesi frugali piace poco.

FRANCIA E GERMANIA A BRIGLIA SCIOLTA

Forse anche per questo Francia e Germania hanno messo le mani avanti, provando a mettersi in sicurezza in caso di flop del Consiglio europeo e inviando negli Stati Uniti, in veste di sherpa, i rispettivi ministri dell’Economia, Bruno Le Maire, l’uomo che vorrebbe una risposta europea il più massiccia e aggressiva possibile e Robert Habeck. Scopo della due giorni a Washington, chiedere trasparenza alla Casa Bianca, impegnata a mettere a terra i 370 miliardi di dollari dell’Inflation Reduction Act. Parigi e Berlino sono più che mai unite dalla contrarietà verso questo maxi-piano che potenzialmente può distorcere la concorrenza a livello globale, mettendo in difficoltà proprio le imprese tedesche e francesi. Il problema è che nel perorare la causa nazionale, i due governi si sono di fatto dimenticati delle sorti dei restanti Paesi che compongono l’Ue, mandando all’esterno un segnale di scarsa compattezza.

Non è certo un mistero che dietro le nobili motivazioni di Berlino e Parigi ci siano interessi particolari, a cominciare dal comparto automotive (che comprende Stellantis, Renault, Volkswagen, Daimler-Mercedes e Bmw) nel programma di sussidi per auto elettriche e batterie prodotte negli Stati Uniti. Ecco perché Le Maire e Habeck chiederanno al segretario al Tesoro, Janet Yellen e alla titolare del Commercio, Gina Raimondo, che il governo americano condivida l’importo e i beneficiari degli aiuti in un meccanismo di trasparenza reciproca. La sfida, ha fatto sapere il ministro francese in un’intervista a Afp, “è riuscire a sviluppare insieme, negli Stati Uniti e in Europa, un’industria verde efficiente e competitiva, la più innovativa del pianeta”. Ma tutti insieme o ognuno per sé?

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