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La “Querelle des anciens et des modernes” tra Emiliano e Decaro che dura dall’inizio dell’estate non mi ha mai appassionato. Non solo non ha nulla a che vedere con la celebre controversia letteraria sorta in Francia nella seconda metà del Seicento, che vide schierati i sostenitori degli antichi contro i difensori dei moderni, ma ho sempre ritenuto questa finta incomprensione un gioco delle parti. Nessuno è figlio di nessuno, ciascuno di noi appartiene a una storia politica precisa nella quale fonda la propria identità e quella della propria comunità politica.

Come io e la mia generazione, guidata da Giorgia Meloni, siamo figli della stagione politica che con la nascita della destra di governo di Alleanza Nazionale ha prodotto risultati ancora oggi, così Emiliano e Decaro sono figli legittimi della “primavera pugliese” di Vendola, una storia iniziata esattamente venti anni fa e che oggi, tra scandali e bulimia di potere, inizia a mostrare vistose crepe. Per nascondere queste difficoltà hanno la necessità di fare dei distinguo, di prendere fittiziamente le distanze da un potere che insieme hanno gestito per lunghi venti anni e che insieme vogliono ancora gestire per i prossimi dieci.

Il problema, però, non sono loro o, meglio, sarebbe dei pugliesi nella misura in cui continueranno ad essere governati da chi considera ogni ente come succursale di una sede di partito, come la vicenda di escludere Israele dalla Fiera del Levante ha dimostrato, ma l’assenza di una qualsivoglia alternativa di governo a questo sistema che consente alla sinistra di occupare ogni spazio vitale della società pugliese.

“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” confessava spontaneamente don Abbondio di fronte al Cardinale Federico Borromeo nel celebre “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Al netto di quello di Mauro D’Attis, il solo a metterci la faccia, nessuno ha avvertito la necessità di occupare, durante la finta lite tra Emiliano e Decaro, uno spazio politico per costruire una concreta alternativa.

Nel 2004 il Corriere del Mezzogiorno titolava “Tatarella impegna il futuro politico della destra”, perché da coordinatore regionale di An, Salvatore Tatarella, con coraggio, aveva deciso di candidarsi a sindaco della città di Bari nel tentativo di evitare che la destra politica venisse fagocitata e che la sinistra conquistasse il Comune. Alla fine, il candidato sindaco di Bari per il centrodestra fu Luigi Lobuono, espressione della società civile, ma a vincere le elezioni fu Michele Emiliano, di fatto, aprendo un ciclo ventennale della sinistra nella Regione.

La Puglia è la culla della destra di governo e Bari la città in cui è nata l’idea che la destra politica potesse ambire a governare prima l’Italia e dopo, la città capoluogo e, quindi, la Regione. Alleanza Nazionale aveva la metà dei voti che tutti i sondaggi attribuiscono oggi a Fratelli d’Italia, che non sarebbe arrivato a queste percentuali senza che Pinuccio Tatarella 30 anni fa avesse costruito le condizioni politiche per arrivare a questi traguardi.

Eppure, contrariamente a quanto accadeva negli anni ’90, quando il centrodestra governava tutti i comuni capoluogo di provincia e la destra guidava le città di Lecce e Foggia con Adriana Poli Bortone e Paolo Agostinacchio, la destra, paradossalmente, proprio a Bari e in Puglia ha smesso di essere avanguardia politica.

In nessun Comune capoluogo di provincia vi è un sindaco di Fratelli d’Italia che, generosamente, ha lasciato agli alleati l’indicazione dei primi cittadini, proprio perché tutti immaginavano che al partito di maggioranza relativa spettasse indicare il candidato sindaco di Bari, andato, invece, ad un esponente della Lega.

“Nella regione di Pinuccio Tatarella, l’uomo che traghettò la destra al governo, sghettizzandola, il centrodestra non riesce a individuare un candidato. Questo è gravissimo (…) è forse giunto il momento che Fratelli d’Italia, il partito di maggioranza nel Paese, si assuma le sue responsabilità”, ha affermato, recentemente, in un suo editoriale Maurizio Angelillo, direttore delle news di Radio Norba

In Campania il viceministro Cirielli ha dato da tempo la sua disponibilità; in Toscana Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia, provenienza Azione Giovani, movimento giovanile di An guidato da Meloni negli anni 2000, è il candidato di tutto il centrodestra; nelle Marche viene confermato l’uscente Acquaroli; in Veneto FdI ha addirittura tre nomi da spendere Luca De Carlo, Raffaele Speranzon ed Elena Donazzan.

In Valle d’Aosta si vota con un sistema che prevede la scelta del presidente dopo le elezioni, altrimenti anche in quella piccola terra, FdI sarebbe stata in grado di proporre un nome.

La Puglia, nel nome della gloriosa storia del partito della fiamma, ha il dovere di formulare una proposta credibile e autorevole di candidato presidente della Regione. La destra politica, nella Regione in cui tutto è nato, non può abdicare al suo ruolo politico, proprio oggi che ha percentuali elevatissime.

La Puglia da capitale dell’impero della destra politica italiana non può arrendersi ad essere estrema periferia dell’impero, condannata a perdere sempre e a vantarsi di dati che alle politiche e alle europee sono merito esclusivo di Meloni. In Puglia la destra, per senso di responsabilità e rispetto verso i suoi tanti elettori, deve riconquistare i suoi spazi che si costruiscono con visione e coraggio.

Non servono comitati elettorali di singoli che, pensando unicamente alla loro carriera politica, sono soliti spostarsi di partito in partito, ma di partiti ariosi e di tutti, in grado di rendere visibile un progetto politico alternativo dopo venti anni di sinistra.

La destra torni ad essere protagonista in Puglia. La versione di Tatarella

La Puglia da capitale dell’impero della destra politica italiana non può arrendersi ad essere estrema periferia dell’impero, condannata a perdere sempre e a vantarsi di dati che alle politiche e alle europee sono merito esclusivo di Meloni. In Puglia la destra, per senso di responsabilità e rispetto verso i suoi tanti elettori, deve riconquistare i suoi spazi che si costruiscono con visione e coraggio. La versione di Fabrizio Tatarella, vicepresidente della Fondazione Tatarella

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