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La proposta italiana di un gruppo di Paesi amici dell’Ucraina che si impegnino ad intervenire a difesa di Kyiv in caso di aggressione, è un contributo realistico alla soluzione della crisi che è conforme al sistema di sicurezza internazionale delle Nazioni Unite. L’uso della forza è vietato come mezzo di soluzione delle controversie, ma secondo l’art. 51 della Carta Onu, finchè il Consiglio di sicurezza (posto che funzioni) non intervenga contro il Paese aggressore, lo Stato aggredito può avvalersi del “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva”.

A questo principio si ispira l’art. 5 del trattato Nato del 1949, con cui gli Alleati “concordano che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nel Nord America sarà considerato un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che […] ciascuna di esse […] assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria”.

La formula dell’art. 5 è senz’altro il principale termine di riferimento per immaginare gli impegni di sicurezza occidentali in favore dell’Ucraina. Tuttavia essa è una clausola di sicurezza collettiva che col suo automatismo potrebbe non adattarsi agli ordinamenti costituzionali dei Paesi che la adottassero per Kyiv.

Più correttamente, se si vuole pensare ad un precedente, bisognerebbe guardare alla garanzia dell’indipendenza (e neutralità) maltese che l’Italia ha assunto con l’accordo del 1980 (ratificato con la Legge del 15 giugno 1981, n. 149). 

Non molti ricordano la crisi mediterranea che all’epoca di Dom Mintoff e Gheddafi vide La Valletta minacciata dalle mire egemoniche libiche. L’Italia intervenne con decisione e lungimiranza, facendosi garante dell’integrità territoriale dell’isola. Secondo il trattato italo-maltese, il nostro Paese “si impegna a consultarsi, a richiesta di Malta o di uno degli Stati mediterranei vicini autori di una Dichiarazione analoga alla presente, con Malta e gli altri Stati suddetti ogni qualvolta uno di essi dichiari che esista una minaccia di violazione od una violazione della sovranità, indipendenza, neutralità, unità ed integrità territoriale della Repubblica di Malta”. L’intervento italiano, secondo questa clausola, ha carattere flessibile nel senso che potrebbe avvenire sia nel caso di minaccia di aggressione, sia di legittima difesa maltese ex art. 51 della Carta Onu, con interventi di vario genere “non esclusa l’assistenza militare, che [si] giudicherà necessaria per far fronte alla situazione”.

La formula maltese ha il pregio di consentire ai Paesi amici di Kyiv di decidere di comune accordo quali siano le modalità migliori di intervento a garanzia dell’integrità territoriale dell’Ucraina, lasciando ad ogni singolo Paese la scelta, nel concreto, delle misure militari da adottare. Non va dimenticato infatti che ogni Stato ha una sua Costituzione che stabilisce regole specifiche sulla partecipazione ad azioni armate nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Proprio in considerazione di ciò, l’Italia aderisce al trattato Nato che all’epoca fu sottoscritto per porre il nostro Paese sotto l’ombrello della difesa collettiva transatlantica.

Ora con l’Ucraina si potrebbe eliminare ogni automatismo in considerazione delle inevitabili differenze di vedute che sussistono nella Coalizione dei volenterosi. D’altronde, come ha notato un consigliere del presidente Zelensky, nel caso della creazione di una rete strutturata di relazioni tra Kyiv e i suoi partner, “l’art. 5 non sarebbe automatico, vincolante, e quindi bisogna ripensarlo”.

La proposta italiana di garanzie all’indipendenza ucraina ha dunque il pregio di lasciare a ogni singolo sottoscrittore la scelta di come articolare il proprio intervento in caso di necessità, su richiesta dell’Ucraina e d’intesa con gli Alleati. Una serie di accordi “fotocopia” tra Kiev e gli altri Stati (che questi ratificherebbero secondo le loro procedure interne) darebbe veste giuridica agli impegni politici. Ritornando al caso di Malta, proprio questo fece La Valletta, acquisendo gli impegni di vari Stati — tra cui Francia, Grecia , membri del Commonwealth ed ex Unione Sovietica, oltre all’Italia — di farsi garanti della sua sicurezza.

Garanzie di sicurezza per l'Ucraina, cosa può insegnare il caso maltese. L'analisi di Caffio

La formula dell’art. 5 è senz’altro il principale termine di riferimento per immaginare gli impegni di sicurezza occidentali in favore dell’Ucraina. Tuttavia essa è una clausola che potrebbe non adattarsi agli ordinamenti costituzionali dei Paesi che la adottassero per Kyiv. Più correttamente, se si vuole pensare ad un precedente, bisognerebbe guardare alla garanzia dell’indipendenza (e neutralità) maltese che l’Italia ha assunto con l’accordo del 1980. L’analisi dell’ammiraglio Fabio Caffio

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