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Scrutandola da un ipotetico visitatore proveniente da Marte, la campagna elettorale presenta non pochi paradossi. Dopo aver vagheggiato sui soliti temi iperuranici – fascismo alle porte, Cinquestelle di sinistra sì o no, Draghi espressione dei “poteri forti” o baluardo di competenza – la realtà ha fatto irruzione attraverso l’incubo del gas e del suo possibile razionamento.

A questo punto è arrivata una di quelle torsioni per le quali l’Italia è famosa. Nel senso che i partiti, compresi quelli che l’avevano appena sfiduciato, hanno chiesto a gran voce all’esecutivo dimissionario di SuperMario di intervenire in modo drastico: secondo alcuni seguendo il copione tradizionale, ossia tramite uno scostamento di bilancio che significa più debito in un Paese che il debito ce l’ha già altissimo. Per usare una espressione di Giulio Tremonti oggi candidato FdI dopo aver guidato per anni dalle sponde forziste la politica economica nei governi di centrodestra, siamo lo Stato con il terzo o quarto debito più alto al mondo non essendo però la terza o quarta economia del pianeta.

Ne è seguita una zuffa delle solite senza comunque riuscire a scalfire la freddezza di Palazzo Chigi che aveva ben chiaro che lo scopo di tanta agitazione era di scaricare sulle spalle del governo uscente e in via di archiviazione il peso dell’impopolarità di misure che invece quello nuovo sarà costretto ad adottare interrompendo fin da subito l’honeymoon post voto tra i vincitori e i loro supporter.

Carlo Calenda ha chiesto la sospensione della campagna elettorale, venendo sommerso da ilarità. Matteo Salvini alla fine si è accostato, spargendo l’inconfondibile profumo di strumentalità. Risultato: nulla di fatto. Proprio nel momento in cui il presidente del Consiglio si prende una clamorosa rivincita in Europa dove il pricecap sul gas viene adottato – speriamo non troppo tardi – superando le resistenze della Germania.

Senza battere ciglio, tuttavia, le forze politiche sono risalite nello spazio siderale facendo a gara a chi si iscrive su TikTok, piattaforma giovanile con molti follower e molti sgnignazzi, nella convinzione di poter in tal modo catturare il voto dei diciottenni e simili, finendo invece per far assomigliare la politica ad un palcoscenico per  pupazzi. Ciliegina sulla torta, la ventilata affinità elettiva tra Meloni e l’ex banchiere capo del governo. Una polizza per la leader di FdI – e per i mercati – in caso di successione. Paradosso nel paradosso per tutto il resto, visto che Fratelli d’Italia è stata sempre e tenacemente all’opposizione di Draghi. Mentre chi ha governato con lui e fatto parte della sua maggioranza, come Giuseppe Conte, va sostenendo “da sinistra” con ineffabilità che l’agenda del premier è contro gli interessi dell’Italia.

Basta così, per ora. È facile prevedere che in queste ultime settimane, altri spezzoni di realtà si impongano – per esempio la questione lavoro che, questa sì, interessa i giovani e non solo – ma non c’è da farsi troppe illusioni sul fatto che saranno trattati diversamente dai precedenti. Detto questo, non c’è solo fuffa. Inquietante e assai mal maneggiata, si è infatti insinuata nel confronto politico una questione spinosa e oltremodo delicata. Si tratta dell’assegnazione da parte di Sergio Mattarella dell’incarico di formare il governo. A chi?, avrebbe esclamato qualche residuato della destra. Rispondendo con riflesso condizionato: a noi. Qualcosa del genere ha fatto Giorgia Meloni, assicurando che se fosse risultata prima nelle urne il Capo dello Stato non avrebbe potuto non conferirle l’incarico. Ossia trasferendo un patto stipulato tra soggetti privati – tali sono infatti i partiti politici – nel campo delle istituzioni, inverando e reclamando automatismi che nei Palazzi della Repubblica non hanno cittadinanza. È uno squarcio tutt’altro che trascurabile nelle trame che si evidenzieranno tra i presunti vincitori delle elezioni sotto lo sguardo interessato di chi sarà risultato perdente non ritenendosi tuttavia sconfitto. Non c’è niente di più sbagliato in qualsiasi competizione elettorale che tirare in ballo il Quirinale, massimo organo di garanzia secondo quanto prescritto nella Costituzione. Cosa che con lo stile sobrio ma determinato che lo contraddistingue, ha fatto rilevare lo stesso Mattarella ribadendo il suo ruolo super partes.

Dunque, ricapitolando. Il “destra-centro”, preventivato vincitore della competizione elettorale, dovrà farsi carico di una situazione molto complicata e piena di incognite. Dovrà farlo d’intesa con il Colle e in sintonia con la Ue e il Pnrr. Dovrà cioè governare usando strumenti finora poco consoni alla sua tradizione e alle sue pratiche. Una cosa è certa: TikTok non basterà.

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