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Quella che si è svolta ieri a Washington è stata la seconda puntata di un processo che potrebbe durare ancora a lungo; ma del resto non potrebbe essere altrimenti, dopo una guerra sanguinosa che dura da tre anni e mezzo e che è molto difficile da risolvere per l’enorme distanza che fin dall’inizio ha separato le due parti in causa, l’Ucraina (Paese invaso) e la Russia (Paese invasore). Il vertice Usa-Europa di ieri va dunque visto nell’ottica di un procedimento negoziale che sarà graduale e probabilmente non lineare; tuttavia – ed è questa la cosa più importante – “qualcosa è cambiato e sta cambiando”, come ha giustamente affermato la premier italiana Giorgia Meloni registrando un mutamento di clima e di approccio tra le varie parti in causa che potrebbe davvero precludere alla fine del conflitto. Solo pochi mesi fa il presidente ucraino Zelensky veniva quasi “bullizzato” in diretta mondiale da Donald Trump che, forse nella smania di voler mantenere la promessa elettorale di concludere la guerra russo-ucraina “in meno di 24 ore”, aveva finito per sconcertare tutti i partner occidentali. Ieri, invece, la family photo scattata alla Casa Bianca ha immortalato una situazione decisamente nuova: Stati Uniti ed Europa (attraverso la “coalizione dei volenterosi” di cui finalmente anche l’Italia fa ora parte) sono uniti e compatti nel sostenere Kyiv.

Ovviamente, per poter chiudere la partita è necessaria una abbondante dose di realismo da parte di tutti gli attori in gioco, a cominciare dalla stessa Ucraina. L’impressione avuta ieri è che Zelensky, anche posto di fronte a un’opinione pubblica interna sempre più prostrata da un conflitto che ha ucciso migliaia e migliaia di persone (al fronte come nelle città), e sostenuto dalle raccomandazioni di tutti i suoi alleati, sia ora disposto a fermarsi qui pur di evitare ulteriori sofferenze e quindi anche a fare concessioni al proprio avversario. Un pragmatismo doloroso ma purtroppo inevitabile, giunti a questa fase della guerra; un calice “amaro” che però potrà essere reso più sopportabile dalle garanzie di sicurezza e protezione da parte degli alleati occidentali, a partire dagli investimenti per la ricostruzione economica dell’Ucraina fino alle ingenti spese di sostegno militare che saranno fondamentali per impedire alla Russia di espandersi ulteriormente verso ovest in futuro. Il prezzo, che a quanto sembra resta ancora da definire nei dettagli, saranno le concessioni territoriali da parte di Kyiv a Mosca che rischiano però di stabilire un pericoloso precedente a livello internazionale e un vulnus al principio del rispetto della sovranità degli Stati. Non tanto per quanto riguarda la Crimea, che fu annessa in maniera illegale ma comunque senza sparare un colpo e con un referendum vinto a larga maggioranza, ma soprattutto per il Donbass, che verrà (in tutto o in parte?) sottratto a una Ucraina che si ritroverà quasi sicuramente amputata.

Si entra dunque in una nuova fase che, lo sperano tutti, porti davvero alla conclusione del conflitto. L’appoggio di Trump è stato determinante sia per convincere Zelensky ad accettare questa “amputazione” territoriale, sia per convincere Putin a rispettare i nuovi confini dell’Ucraina e ad impegnarsi al rispetto delle garanzie future. Resta ancora da definire quali saranno i confini di queste garanzie (è improbabile che Putin accetti l’estensione dell’art. 5 della Nato anche all’Ucraina), e quali soldati saranno inviati a vigilare, ma il fatto che sia stato definito un perimetro entro il quale trovare poi l’esatto punto di caduta è un importante punto di partenza.

Dopo più di tre anni di guerra (senza contare il decennio di guerra non dichiarata e a bassa intensità che dura dal 2014), si va verso la fine di un conflitto che ricorda, per certi aspetti, le caratteristiche della Seconda Guerra Mondiale, combattuta quasi interamente sul suolo europeo tra due coalizioni e visioni del mondo antitetiche. Da una parte, la volontà dell’Ucraina di difendere la propria indipendenza e libertà; dall’altra, l’imperialismo russo di stampo zarista che, a prescindere dal tipo di regime, è una caratteristica costante della politica estera di Mosca. Al termine di questa guerra senza un chiaro vincitore, sarà importante che la comunità internazionale, guidata dalle democrazie liberali, ripristini il rispetto di principi cardine che consentano una coesistenza pacifica tra gli Stati sulla base di norme di diritto internazionale condivise e davvero funzionanti.

Verso la pace in Ucraina? Il vertice di Washington visto dall'amb. Castellaneta

Ieri la family photo scattata alla Casa Bianca ha immortalato una situazione decisamente nuova: Stati Uniti ed Europa (attraverso la “coalizione dei volenterosi” di cui finalmente anche l’Italia fa ora parte) sono uniti e compatti nel sostenere Kyiv. “Qualcosa è cambiato e sta cambiando”, come ha giustamente affermato la premier italiana Meloni registrando un mutamento di clima e di approccio tra le varie parti in causa che potrebbe davvero precludere alla fine del conflitto. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

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