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La Russia, in piena crisi da inflazione e tassi, condita di scontro politico tra Banca centrale e governo, gioca la carta criptovalute per provare ad aggirare i vincoli che rendono quasi impossibili le transazioni da e per la Federazione. “Per le transazioni commerciali con l’estero è possibile utilizzare i bitcoin che abbiamo estratto qui in Russia”, ha detto poche ore fa il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov.

Ed ecco il motivo? Le aziende russe hanno già iniziato a utilizzare bitcoin e altre valute digitali nei pagamenti internazionali in virtù di un regime sperimentale avviato dal Cremlino per eludere le sanzioni occidentali applicate all’indomani dell’invasione in Ucraina. Misure che hanno complicato parecchio gli scambi commerciali della Russia con i suoi principali partner, come Cina, Turchia, India ed Emirati Arabi Uniti: paesi le cui banche, come raccontato a più riprese da Formiche.net, sono sempre più caute nell’accettare flussi finanziari provenienti da Mosca.

Lo stesso Vladimir Putin, nel corso della conferenza stampa di fine anno, ha affermato che l’attuale amministrazione statunitense sta minando il ruolo del dollaro come valuta di riserva, utilizzandolo per scopi politici, costringendo molti Paesi a rivolgersi a beni alternativi. In tal senso il capo del Cremlino, ha citato il bitcoin come esempio di tali attività, affermando che nessuno al mondo può regolamentare il bitcoin. E già lo scorso 30 luglio, la Duma (il parlamento russo) ha approvato una legge che consente alle aziende di gestire pagamenti in criptovalute per le transazioni commerciali internazionali. Una misura fortemente voluta da Elvira Nabiullina, governatore della Banca centrale russa e spesso più lucida e realista di Putin, che si inserisce in un pacchetto di norme che include anche una dettagliata regolamentazione sul cripto mining (il processo di generazione di nuove criptovalute).

Quanto all’uso che ne sta facendo la Russia, la ratio è nel fatto che queste monete digitali non vengono scambiate direttamente sulla rete Swift in quanto operano principalmente su blockchain decentralizzate. Le loro transazioni, quindi, non sono controllate da una banca centrale, bensì da una serie di computer sparsi per il mondo. Un sistema che consente alla Russia di eludere gli ostacoli finanziari imposti dall’Occidente, tutelando gli scambi e i pagamenti con i propri partner commerciali.

Ovviamente, sempre che lo stratagemma funzioni, il Cremlino ci guadagnerà qualcosa. Lo stesso ministero delle Finanze russo ha riportato due novità importanti: si tasserà tutto al 15% e il valore di quanto ottenuto dai miner sarà considerato a costo di acquisto zero, con la possibilità di detrarre le spese di esercizio. Si tratterebbe, nel caso, di un regime di relativo favore almeno rispetto ad altre giurisdizioni, per quanto non così di favore da poter attrarre le operazioni di miner che sono già altrove, tenendo anche conto delle complicazioni odierne del fare business in Russia.

La Russia si aggrappa alle criptovalute per sfuggire alle sanzioni

Per tentare di aggirare i vincoli ai pagamenti verso l’esterno, il ministero delle Finanze ha autorizzato le imprese a ricorrere alla moneta virtuale. Un’ammissione, tacita, che le maglie dell’Occidente sono ancora ben strette

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