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Nostalgia dei partiti. E della Prima Repubblica. Confesso che ho un bel ricordo delle serate passate – da ragazzo – nella sezione a discutere con quelli che sembravano vecchi notabili (e invece erano solo consapevoli della democrazia che vuol dire confronto, ascolto, consenso). La politica praticata mi ha sempre interessato. Come capita a tutti i “tecnici”, come mi disse al primo incontro un curioso e acuto come sempre Giuliano Ferrara. E lo disse profetizzando, molti anni prima che “tecnici” ben più autorevoli di me, prendessero in mano le sorti della politica del Paese, quasi ininterrottamente da Monti a Draghi.

Partiti? Mai più ritornati. Il personalismo imputato – tra i primissimi – a Silvio Berlusconi è diventato condizione di ogni creatura politica della Seconda (e Terza) Repubblica. Il Pd ha avuto la stagione di Matteo Renzi, dominus assoluto. Ma non ha perso le tracce dei leaderismi anche nelle esperienze fallimentari di Enrico Letta, che al contrario di Cincinnato, si è fatto riportare a Roma (da Parigi, in realtà, non dai campi di Prato Quinzio) non per vincere, ma per perdere sonoramente. Leaderismo è quello di Calenda che decide le sorti del congresso prima di celebrarlo. Leaderismo è quello che ha segnato la giovane (e già appassita) vita del Movimento 5 Stelle, nella parabola che ha deciso il passaggio dal fondatore (Grillo) non candidabile, al presidente (Conte) mai iscritto.

Leaderismo quello della Lega, fin dai tempi di Bossi e ancor di più – se possibile – a questi attuali di Matteo Salvini. Leaderismo spesso senza leadership. D’altronde va di moda parlare sempre più di “followership”. In teoria una rivalutazione dei collaboratori, in pratica una scorciatoia comunicativa per seguire, accarezzandola, l’opinione pubblica, senza assumersi la responsabilità politica di decidere.

I personalismi della politica hanno finito per trasferire alla politica la liquidità profetizzata da Bauman in tutta la società contemporanea. Ai valori si sostituiscono i like. Ai dibattiti si preferiscono i diktat. I poteri sono trasferiti alle corporazioni che di volta in volta si ritengono più influenti e più determinanti nel successo della competizione elettorale e nella gestione del potere.

I politici finiscono così per appiattirsi sulle lobby e sulle camarille, dimenticando sistematicamente i cittadini. Il paese reale si allontana da quello rappresentato nelle aule delle Istituzioni, dove hanno diritto di essere ascoltati solo i residui rappresentanti dei conservatorismi. La politica preferisce proteggere il vantaggio di qualche migliaio di tassisti (o di balneari) invece che assicurare il miglior servizio ai milioni dei loro clienti. È un po’ per loro (oltre che per qualche piccolo commerciante) che il governo Meloni ha deciso di annullare l’obbligo del Pos fino alla soglia dei 60 euro. Gli italiani – e i turisti che per fortuna ancora scelgono il nostro Paese – finiranno per essere gli unici cittadini del mondo a doversi dotare di contante per pagare servizi minuti, ma essenziali.

All’estero si può ormai uscire da casa senza portafoglio, anche per andare a prendere un caffè. In Italia invece si dovrà ricordare ai turisti extra-Ue di riabituarsi al servizio di cambio, per prenotare valuta prima di varcare il confine (come si faceva trent’anni fa). Il governo invece di negoziare (e imporre) commissioni più basse alle banche per le piccole spese con carte di credito o di debito, preferisce lisciare il pelo alle categorie intermedie, quelle che erogano il servizio (taxisti o baristi poco importa). Per non favorire la libera concorrenza nei servizi pubblici non si fanno gare per il trasporto locale, e Roma si tiene un’Atac impresentabile. I cittadini? Si arrangino. Mangino brioches. Come avrebbe potuto dire la regina Antonietta, che però finì male, perdendo la testa. In Italia sembra che i politici non avvertano questo rischio.

Gli italiani non hanno mai amato le rivoluzioni. C’è sempre una mamma che non deve soffrire. Ma alla fine preferiscono sottrarsi, disinteressandosi. A forza di sentirsi esclusi i cittadini si escludono dalla partecipazione politica. Non votano. Disertano le urne. E i politici, come sepolcri imbiancati, si stracciano le vesti. Senza riproporre alcun luogo in cui la politica possa riavvicinarsi ai cittadini. I partiti con le loro discussioni? Meglio le corporazioni con le loro pressioni.

Partiti? Mai più ritornati. Personalismi e politica secondo Mastrapasqua

I personalismi della politica hanno finito per trasferire alla politica stessa la liquidità profetizzata da Bauman in tutta la società contemporanea. Ai valori si sostituiscono i like. Ai dibattiti si preferiscono i diktat. I poteri sono trasferiti alle corporazioni che di volta in volta si ritengono più influenti e più determinanti nel successo della competizione elettorale e nella gestione del potere

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