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La domanda è: come potranno le banche cinesi chiedere oltre 70 miliardi di dollari al mercato se chi ha prestato cifre molto più elevate alle società del mattone del Dragone, anni fa, non ha più rivisto i suoi soldi? La domanda è tutt’altro che banale, nei giorni in cui quattro grandi istituti cinesi si apprestano a battere cassa dagli investitori, nel tentativo di rimettere in sesto i patrimoni sfilacciati e coefficienti troppo bassi. E, soprattutto, onorare le promesse uscite dal Congresso del Popolo di marzo, per una pronta ripresa dell’economia a suon di investimenti. Il problema è che se Roma non è stata costruita in un giorno, tale concetto vale anche per la fiducia.

La storia è nota. Da quasi sette anni la Cina assiste impotente al collasso delle proprie società immobiliari, schiacciate da un debito ormai da tempo fuori controllo e dal fallimento generalizzato dei grandi piani urbanistici cinesi (troppa offerta, poca domanda). Nel tempo, decine di migliaia di obbligazionisti hanno risposto ai tanti appelli alla ricapitalizzazione delle imprese, prestando la liquidità necessaria a sopravvivere. Non è servito a molto, dal momento che i giganti del mattone, da Evergrande a Country Garden, sono caduti come birilli uno dopo l’altro. Ne sono scaturiti concordati e accordi di ristrutturazione, sotto forma di vendite di asset e spezzatini, per ricavare il denaro da rimborsare ai titolari di bond.

Ma nemmeno questa operazione è riuscita. Sì, perché ad oggi gli obbligazionisti internazionali hanno recuperato meno dell’1% dei 150 miliardi di dollari di bond lasciati scoperti dalle aziende del mattone, a partire dal 2021. Nonostante anni di negoziati e quasi una dozzina di accordi di ristrutturazione, solo 917 milioni di dollari in contanti sono stati trasferiti agli investitori in obbligazioni offshore riconducibili a 62 società. Solo tre conglomerati dell’immobiliare, China Fortune Land Development, China South City e RiseSun Real Estate Development, hanno effettuato pagamenti di cedole su 11 accordi di ristrutturazione per 40 miliardi di dollari di debito.

I dati evidenziano le difficoltà per gli investitori internazionali nel recuperare il proprio denaro. Ma, soprattutto, mettono in dubbio la fattibilità di una serie di accordi di ristrutturazione costruiti a tavolino dalle imprese, con la regia, spesso, del governo. Tanto per fare un esempio, Evergrande, il simbolo della grande crisi cinese, seppellito da 340 miliardi di passività, oggi deve pagare cedole per 20 miliardi. E probabilmente non lo farà. E adesso? I dati del National Bureau of Statistics pubblicati la scorsa settimana hanno mostrato che gli investimenti totali per lo sviluppo immobiliare in Cina sono diminuiti del 10% nei primi due mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre i nuovi prezzi delle case nelle 70 città sono diminuiti mese su mese di febbraio. Tradotto, la situazione del mattone non migliorerà. E si torna alla domanda iniziale.

La Cina vuole la fiducia del mercato. Ma senza onorare i suoi debiti

Da quando i colossi del mattone hanno cominciato a barcollare, per poi cadere, gli obbligazionisti hanno ottenuto solo l’1% del dovuto, nonostante decine di accordi di ristrutturazione e concordati. E ora le banche del Dragone battono di nuovo cassa

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