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A pochi giorni dal suo insediamento, il governo di Giorgia Meloni può già far ravvisare un suo stile comunicativo originale, un mix tra la serietà istituzionale di Mario Draghi e la necessaria vocalità di un esponente politico. Meloni è misurata, ma non silenziosa. Si esprime con una mimica che la avvicina alla gente, smorfie e sorrisi, uso del corpo e delle mani che garantiscono freschezza e immediatezza. Ma basterà la sua dote comunicativa, costruita e sperimentata in trent’anni di piazze e aule parlamentari?

Mi azzardo a offrire al nuovo governo cinque consigli non richiesti sulla comunicazione.

Strutturare la squadra di comunicazione. Non è immaginabile gestire la comunicazione di una organizzazione così complessa come il governo senza una squadra adeguata e strutturata. È tempo che il governo si doti di una vera e propria content factory, un team di professionisti che traduca le azioni di governo in contenuti per i media e per i diversi strumenti di comunicazione. Capo della comunicazione e portavoce possono essere persone distinte. Ma non si può fare a meno di una squadra di lavoro articolata in team dedicati e coordinati per la gestione dei media nazionali e territoriali, per la stampa estera, per i new media ed i social network di Palazzo e del premier. Vero, nel nostro ordinamento, il presidente del Consiglio è un primus inter pares e tutti i ministri hanno libertà di comunicazione. Ma sarebbe il caso di sperimentare soluzioni innovative, come il fare allineamenti settimanali dei vari comunicatori ministeriali con Palazzo Chigi, concordare come possibile le presentazioni delle proposte operative dei ministri, persino arrivare ad una comune identity del governo nella comunicazione verso i cittadini.

Dare ritmo al confronto con i media. Altri Paesi ci hanno abituato ai brief quotidiani (Usa) o ricorrenti (Germania). Credo sarebbe una bella innovazione se la premier fissasse un appuntamento settimanale con i media, non solo per presentare l’azione di governo al termine dei Consigli dei ministri, ma anche solo per rispondere alle domande dei giornalisti. Il portavoce/capo della comunicazione invece potrebbe fare un veloce brief quotidiano con i giornalisti accreditati a Palazzo Chigi per illustrare l’agenda del premier e raccogliere quesiti e impressioni. Non credo all’eccesso di esposizione, al quale ci aveva abituato Giuseppe Conte, né alla dieta comunicativa che aveva introdotto Mario Draghi. Ma il giusto equilibrio di presenza di un presidente del Consiglio leader del partito di maggioranza relativa richiede che non ci siano vuoti comunicativi troppo lunghi.

Non trascurare l’arena internazionale. Meloni conosce le lingue e sa che parte del suo successo sarà anche dall’immagine che verrà riflessa dai media internazionali. La stampa estera è spesso prevenuta e orientata da quella nazionale, ma un colloquio periodico con i corrispondenti esteri è certamente utile. Come sarà utile che i viaggi all’estero siano accompagnati da interviste sui principali media dei Paesi visitati, come essenziale è creare familiarità con i corrispondenti a Bruxelles.

Parlare alla gente attraverso la Tv. Credo nella intermediazione dei professionisti dell’informazione, ma anche nella necessità di entrare direttamente nelle case degli italiani. E la televisione rimane, almeno in Italia, il mezzo più efficace. Lo dovrà fare con lo standing che il ruolo le attribuisce, senza partecipare ai dibattiti da talk show, ma aperta ad essere intervistata dalle reti nazionali e locali e a presentare le azioni di governo anche in trasmissioni che catturano pubblico che i contenitori di informazione non raggiungono.

Usare i social per ascoltare più che per promuoversi. Monitorare la rete è diventato essenziale per cogliere i sentimenti della gente e di categorie di cittadini, con la capacità di separare gli odiatori, i boots, le macchine del fango dalle conversazioni reali. Misurerei con prudenza le dirette Facebook e userei i diversi social per quello che servono, dialogare con i follower con i linguaggi e le immagini adatte a ciascun strumento.

Alla fine di ogni esperienza di governo, il commento dei premier, sia di quelli che finiscono il mandato con alto consenso (Conte e Draghi avevano la fiducia di più del 60% degli italiani) sia di quelli che finiscono con una immagine fortemente erosa (Renzi, Monti, Letta, ad esempio) è sempre lo stesso: non abbiamo saputo spiegare agli italiani quello che abbiamo fatto, come abbiamo governato, le azioni che abbiamo messo in campo. Una frustrazione che può essere evitata con una gestione professionale e coraggiosa della comunicazione istituzionale.

Cinque consigli non richiesti sulla comunicazione del governo. Scrive Comin

Basterà a Giorgia Meloni la dote comunicativa, costruita e sperimentata in trent’anni di piazze e aule parlamentari? Gianluca Comin, docente Strategie Comunicazione, Luiss Guido Carli, offre al nuovo governo alcuni spunti per un miglior approccio con gli elettori

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