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Diciamo chiaramente che il Movimento 5 Stelle a guida Conte, aprendo la crisi di governo, non ha fatto altro che tentare di tornare alla base.
Se dobbiamo toccare con mano l’impianto radicale che ha originato il grillismo, allora, Conte non fa che rischiare il tutto per tutto: dopo aver governato con ogni forza politica (salvo i meloniani), occorre che il M5S narri un altro mondo da prospettare per il futuro, ma richiamando il fare del passato.
Il motivo non è solo uno. In realtà ce ne sarebbero diversi, ma uno su tutti è intuibile: l’entrata in vigore dalla prossima legislatura del c.d. “taglio parlamentari”.
Si passerà da 945 a 600 tra deputati e senatori. Potrebbe dirsi, per assurdo, che Conte abbia aperto la crisi dell’esecutivo per non chiudere i battenti del seminativo. Quel seminativo che stenta a dare frutti politicamente coerenti.

È così che, avvicinandoci agli ultimi sei/sette mesi di legislatura, c’è una necessità indifferibile da parte dell’ex presidente del Consiglio di salvare lo zoccolo duro del grillismo; zoccolo duro, quest’ultimo, che non risiede nel voto di pancia coltivato sin dagli ultimi anni del primo decennio del 2000. Tutt’altro.
Il grillismo non nasce come fatto reazionario al sistema politico, come qualcuno voleva far credere all’origine, ma mette le radici (e per questo il termine seminativo torna utile) nel pieno rivoluzionarismo di piazza.

Era l’8 settembre 2007 ricordate?
Alla fine di quell’evento “balneare” svoltosi a Bologna (ma anche in collegamento con altre piazze d’Italia) fu Grillo stesso a chiarire che, secondo il vaffa-pensiero, “I partiti sono incrostazioni della democrazia. Bisogna dare spazio ai cittadini. Alle liste civiche. Ai movimenti. Viviamo in partitocrazia, non in democrazia”.

Ecco, la questione di fondo può esser decifrata in questi termini:
– si possono contestare i partiti e spingerne, per l’effetto, la nascita di altre dimensioni partitiche dal connotato diverso rispetto a quelli esistenti;
– se, invece, si ritengono i partiti in quanto tali delle incrostazioni della democrazia, volendoli eliminare e superare, non altro si rischia il sinistro costituzionale.

Quest’ultimo passaggio contrasta rocciosamente con l’art. 49 della Costituzione: non si può volere l’eliminazione del principio partecipativo democratico tramite i partiti senza modificare la Costituzione (salvo spostare l’attenzione su altri piani fuori dal perimetro costituzionale stesso).

Ora, se queste evidenze fattuali governano ancora lo spirito primordiale dello zoccolo duro del grillismo delle due l’una:
– o il Movimento 5 Stelle ha usato la democrazia per annullare il principio partecipativo democratico tramite partiti;
– oppure il Movimento 5 Stelle, provocando la crisi di Governo in atto, sta facendo i conti con la propria identità posta davanti allo specchio dei processi della democrazia.

Nel primo caso saremmo dinanzi al più grande bluff della storia repubblicana.
Nel secondo caso saremmo dinanzi, invece, al più grande atto di resistenza della democrazia costituzionale stessa: evitare l’abolizione implicita dei partiti per effetto del “balnearismo di piazza”.
Tra questo concetto e quello marittimo puro possiamo dire che ci sia enorme differenza: colui che ha vissuto in mare, per il mare e con il mare sa cosa fare, come si deve fare, in che direzione andare.

È qui che la crisi di governo si polarizza. Tra il chi vuole salvare il salvabile (elettoralmente parlando) in vista della probabile grande mareggiata con l’arrivo del taglio parlamentari e chi, di contro, non ci sta pensando neanche all’ingresso nel Parlamento che verrà (ovvero Mario Draghi).
“Noi non stiamo facendo politica per il consenso. Noi vogliamo fare ciò che dobbiamo”; questa è una citazione di Shinzo Abe, ex premier giapponese, morto da pochissimo.
A questo servono i governi di unità o responsabilità nazionale. Proprio a lasciar lontani i richiami elettorali.

È il momento, quindi, di stringere i denti un altro po’ per il Paese fino al punto di messa in sicurezza?
Diversamente, sul piano politico, si passi all’opposizione. Senza travestimenti, trucchi, allusioni, illusioni, ecc. Sempreché si riesca a spiegare, poi, cosa si voglia fare e con chi di nuovamente.
Gli ammutinamenti politici fanno parte della storia. È vero. Soprattutto quando di tonni non se ne pescano, alla fine, la colpa finisce a chi comanda la barca.
Non dobbiamo dimenticare una cosa, però, in tutta questa vicenda: non è che senza Draghi è la fine del Paese, ma è senza Draghi che dobbiamo ricordarci sarà il fine di questo momento di traghettamento del Paese intero.

Per ora del Draghi Vademecum non si può far a meno.
Neanche per chi vuole ricreare lo spirito anti casta per sognare, nella prossima legislatura, di dire che ce l’ha fatta a rimanere a galla.

 

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