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“Oreshnik” (Орешник), lemma russo che significa “albero di nocciole”. Questo il termine usato dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, durante un suo intervento trasmesso sulla rete televisiva russa, per definire il sistema missilistico lanciato giovedì 21 novembre contro bersaglio legato alla rete energetica della città ucraina di Dnipro, in quello che è stato definito dal vertice da Putin come “un test in condizioni di combattimento dall’esito positivo”. “Ad oggi non ci sono mezzi per contrastare un’arma del genere”, ha affermato il leader russo, aggiungendo che i sistemi di difesa aerea attualmente in forza a Stati Uniti ed Europa non sono in grado di intercettare questa nuova tipologia di missile, in funzione della loro presunta velocità che oscilla tra di i 2,5 e i 3 chilometri al secondo. Già in passato Mosca aveva definito “impossibili da intercettare” alcuni dei suoi sistemi missilistici, affermazione smentita dall’azione delle forze di difesa ucraine attraverso l’abbattimento degli pseudo-ipersonici Kinzhal e del missile da crociera ipersonico Zircon.

Nella stessa diretta televisiva Putin ha anche minacciato i sostenitori dell’Ucraina, asserendo che “ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono alle loro armi di essere usate contro le nostre strutture. In caso di escalation di azioni aggressive, risponderemo in modo altrettanto deciso e simmetrico”.

La vice-portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha descritto l’Oreshnik come una variante del missile balistico RS-26 “Rubezh”, vettore che era stato (almeno in apparenza) inizialmente sviluppato come missile balistico intercontinentale (intercontinental ballistic missile, o Icbm) destinato ad essere lanciato contro bersagli posti oltre le 3.400 miglia di distanza. Questo per non infrangere l’Intermediate-Range Nuclear Forces (Inf) Treaty firmato da Mosca e Washington nel 1987, trattato che prevedeva la messa al bando per lo sviluppo e il dispiegamento di capacità missilistiche con una portata compresa tra le 310 e le 3400 miglia. Per via della loro capacità di colpire con un preavviso irrisorio e della possibilità di trasportare un ordigno nucleare, questi sistemi rappresentavano un rischio concreto per l’equilibrio strategico della Guerra Fredda, dominato dalle logiche di deterrenza nucleare, e per questo si decise di bandirli attraverso l’Inf Treaty. Tuttavia, gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato nel 2019, sostenendo che la Russia stesse continuando in segreto a sviluppare quelle capacità vietate dallo stesso trattato; pochi mesi dopo, anche Mosca ha fatto lo stesso. Secondo alcuni esperti, il Rubezh sarebbe stato sviluppato sin dall’origine come un missile balistico a raggio intermedio (Intermediate-range ballistic missile, o Irbm), e che i suoi test fossero stati svolti utilizzando appositamente un’angolatura di lancio che gli avrebbe permesso di superare a stretto giro le 3.400 miglia, facendolo formalmente rientrare nella categoria degli Icbm.

Tom Karako, direttore del Missile Defense Project presso il Center for Strategic and International Studies (Csis), ha dichiarato che nelle immagini disponibili si possono vedere dei missili secondari sganciarsi dal corpo del missile originale, lasciando presumere che l’Oreshnik sia dotato di testate multiple indipendenti, meglio note come Multiple Independently targetable Reentry Vehicles (Mirv). “Se si tratta effettivamente di un sistema Mirv, sarà molto difficile riuscire a neutralizzare i molteplici bersagli a una velocità molto alta, soprattutto se si tratta di un Irbm su una traiettoria inclinata”, ha specificato Karako.

La decisione di impiegare quest’arma è facilmente individuabile nell’intenzione del Cremlino di voler dare una risposta all’uso di missili a lungo raggio di fabbricazione anglo-americana da parte di Kyiv, la quale aveva ricevuto l’autorizzazione all’impiego da parte di Londra e Washington (e inizialmente anche di Parigi) pochi giorni fa, così da mostrare la sua determinazione a salire lungo l’escalation ladder. In questa ottica, l’impiego dell’Oreshnik e il recentissimo abbassamento della soglia nucleare annunciato da Putin sono da considerare come intrinsecamente legati.

Washington non è stata a guardare. Lo stesso giorno del lancio la Casa Bianca ha annunciato che gli Stati Uniti stanno “fornendo all’Ucraina centinaia di missili Patriot e Amraam per rafforzare la sua difesa aerea. Molti di questi missili sono già stati consegnati in seguito alle decisioni del presidente di dirottare le esportazioni di missili per la difesa aerea verso l’Ucraina, e le consegne di ulteriori missili per la difesa aerea all’Ucraina sono in corso”.

Ma è anche un segnale che Mosca vuole mandare alle potenze occidentali, flettendo i muscoli di cui dispone (nel tentativo di farli sembrare il più grandi possibile) per scoraggiare reazioni avverse di vario tipo e rafforzare la postura strategico-diplomatica. Fattore che assume un certo rilievo, se si considera che le voci di un negoziato che ponga fine al conflitto in Ucraina si stanno facendo sempre più forti.

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