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Per lo spettatore che ha in mente la corsa di una donna, dal volto deformato dalla disperazione, con i capelli che le tagliano il viso come lame nere, mentre grida “Francesco! Francesco!” (“Dopo aver sentito quel grido non lo si dimentica più”, Giuseppe Ungaretti), dietro al camion che porta alla morte il suo amato, falciata senza pietà da una raffica di mitra, nella Roma popolare sotto l’occupazione nazista (Roma città aperta, 1945, Roberto Rossellini), o il primissimo piano devastato di una mamma, quando il sogno del cinematografo rivela la feroce violenza della macchina della finzione nei riguardi della sua innocente piccola (Bellissima, 1951, Lucino Visconti), o, infine, lo sguardo, ormai privo di espressione, svuotato dal dolore di chi ha perso l’unico figlio, congelato verso un campo lunghissimo sulla neo-periferia romana brulicante di scheletri di palazzine popolari destinate a portare progresso e solitudine (Mamma Roma, 1961, Pier Paolo Pasolini), non è facile “affezionarsi” a quell’attrice che oggi intendesse dar vita sul telone a quella donna, ossia ad Anna Magnani.

È una scommessa cui da tempo diversi registi avevano pensato, ma scoraggiava l’individuazione di un volto (italiano o straniero) e di una recitazione, all’altezza della inimitabile Nannarella. Monica Guerritore, ha rischiato: ha deciso di scrivere, interpretare e dirigere il primo biopic sulla prima attrice non anglofana premio Oscar (La rosa tatuata, 1956, Daniel Mann) con Anna (2025, Monica Guerritore). Far rivivere sullo schermo l’interprete di icastici personaggi popolari, in film diretti da grandi registi (Roberto Rossellini, Luigi Zampa, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Jean Renoir, Daniel Mann, William Dieterle, Alfredo Giannetti ed altri) e, allo stesso tempo, raccontare la vita quotidiana di una donna semplice, ma di cultura, dal carattere e dal destino “ossimorico”, forte ma fragile, ricercata dal cinema e poi dimenticata, amata dagli uomini e abbandonata, non era un soggetto semplice da scrivere.

Per raccontare nella fiction una donna-attrice il cui essere (leggi: non solo carattere, non solo talento, ma tutto il mondo inespresso che si portava dentro sin dalla sua difficile infanzia: figlia non “riconosciuta” dal padre e, successivamente, abbandonata dalla madre), squisitamente cubisitico  (come una natura morta-viva di Georges Braque), era necessaria una attrice di notevole esperienza e cultura: e Monica Guerritore lo è.

Certo, ci poteva arrivare una copia di Magnani da IA, con il volto e la voce di Guerritore leggermente modificati (ed era possibile), ma sia il testo scritto (scene e battute, armonia della diegesi), la cura della fotografia (Gino Sgreva) e dei costumi (Nicoletta Ercole), sia le soluzioni registiche (camera a seguire, qualche plongée in una Roma notturna reinventata, oggettiva ma trasfigurata, alla Ennio Flaiano), sia la recitazione di Guerritore, sanguigna ma non melodrammatica, fanno di Anna se non un capo-lavoro un serio-lavoro in grado di ridarci le gioie e le delusioni, le risa e i silenzi, in saggio equilibro, di una delle attrici più importanti e stratificate del secondo Novecento italiano, e non solo. Un film che sarà ben accolto dalle nuove generazioni che non conoscono la grande interprete di Roma città aperta, di L’onorevole Angelina, di Bellissima e di Mamma Roma (due giorni fa, un gruppo di universitari commentava, soddisfatto, il film a fine proiezione).

Tra le apprezzabili performances che animano le note figure di contorno (Federico Fellini, Sergio Amidei, Carlo Ponti, Tennesee Williams, Alberto Moravia, Suso Cecchi D’Amico), emergono quella centrale del figlio Luca Magnani (un silente Edoardo Purgatori, nella sua dignitosa e malinconica sofferenza alla Sergio Corazzini), e quella necessaria di Rossellini (un asciutto Tommaso Ragno). Ma la “spalla” principale della Guerritore, la “seconda” attrice (come si direbbe in teatro), è Roma, soprattutto di notte.

Le vie, le piazzette, i vicoli illuminati dalle fioche luci rilesse dei lampioni sui sanpietrini, il baretto chiuso con due avventori seduti a due metri dalla saracinesca abbassata, uomini fuori dalla storia (una giovane prostituta e un anziano uomo di cinema) sono necessarie pennellate liriche, di sapore clairiano e felliniano, chiamate a dar respiro al racconto di una vita che, nel privato, aveva bisogno della notte. Centrali nella sceneggiatura, appunto, le note passeggiate solitarie dell’attrice, a volte inevitabile flânerie, altre volte destinate a portare del cibo ai gatti randagi del centro storico, fedeli spettatori della sua vita di “irregolare” e randagia nel mondo dello spettacolo, una Charlot al femminile, “dipendente” dal passeggiare come autoterapia per un’anima tormentata e sola.

Guerritore dirige sé stessa, modulando il canto di una attrice e di una donna, come il volo di un gabbiano, su in alto e poi in picchiata sulla battigia, un glissando di un destino femminile unico: dalla euforia per gli inattesi successi (l’Oscar del 1956: gioia mai esagerata, conscia della propria temporalità); passando per i momenti di dolore e depressione (la malattia del figlio Luca, il non poter vivere accanto a lui per via del lavoro); al tempo della solitudine e del silenzio (l’isolamento artistico subìto già a partire dalla metà degli anni Sessanta; le delusioni da parte dei produttori che la davano per finita a cinquant’anni).

Come spettatori ci avrebbe fatto piacere vedere la preparazione (ricostruita) della famosa scena che Fellini le dedica in Roma (1972, un anno prima della morte della attrice). Qui la omaggia, intervistandola brevemente, mentre rientra in casa, nella città in cui i poveri e i lavoratori già dormono, mentre i nottambuli resistono. “Questa signora che rientra in casa… è l’attrice romana Anna Magnani. (…) che potrebbe essere il simbolo della città”.

Magnani risponde, “Che so io?”

Fellini, “Una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra e buffonesca (…)”.

Il prorompente primo piano inquadrato da Fellini è l’immagine summa della vita e del talento di Anna Magnani: il volto è sereno ma rigato da un filo di melanconia nei grandi occhi neri, e, sotto, un luccicante largo sorriso di adolescente, ironica autodifesa.   E, Monica Guerritore, con i suoi lineamenti tesi e lirici, i suoi gesti forti e misurati, la sua camminata ad ampia falcata a mordere la vita, ci ha ridato anche quell’ Anna Magnani cara a Fellini: fragile guerriera.

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