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Se ormai è chiaro che Xi Jinping riceverà lo storico terzo mandato come segretario del Partito Comunista Cinese e leader della nazione alla prossima plenaria del 16 ottobre, in deroga alla consueta prassi di un massimo di 10 anni al potere per il leader supremo del Paese, restano comunque aspetti importanti e ancora non del tutto sciolti sul congresso che avranno un impatto sul futuro del Paese. Per esempio, l’incarico a primo ministro: vediamo un po’ di nomi e dinamiche.

Ci sono buone possibilità che il prossimo premier non sia un protetto assoluto di Xi. I precedenti dimostrano che ogni premier (con l’eccezione del primo, Zhou Enlai) ha ricoperto il ruolo di vice premier prima di assumere la carica. Questo pone Xi in una posizione particolare. Degli attuali vice premier infatti, “l’unico che non dovrebbe andare in pensione quest’anno è Hu Chunhua, un protetto di Hu Jintao e Li Keqiang”, spiega Michael Cunningham in un’analisi per la Heritage Foundation. Hu — noto anche come “Little Hu” per la similitudine con Hu Jintao non solo nel nome — è un burocrate del Partito fin da giovanissimo, che ha occupato ruoli di leadership in Tibet e Mongolia, e poi nella super strategica Guangdong. Non è in assoluto un intimo di Xi; è membro della fazione interna guidata da Lì Keqiang — la Gioventù Comunista. Ma prima di andare avanti va precisato il contesto.

Il Partito è un mondo pieno di complessità e articolazioni, dotato di anima propria e in grado di esprimere posizioni interne anche distinte. Ma per sua essenza queste dinamiche non sono paragonabili con i colpi di coda tipici dei partiti occidentali. In sostanza è difficile pensare che possano esistere opposizione realmente non accettate dal leader. È un gioco di equilibri, ma basato su un concetto di forza e potere.

Chiunque abbia visioni e posizioni differenti da quelle del segretario e della maggioranza degli apparati, le ha a patto che quella stessa maggioranza conceda di averle. E poi va aggiunto che Xi è un politico eccellente nell’allargare la sua influenza all’interno del Partito (che ultimamente si sta in parte allargando anche verso Hu).

Per esempio, la scelta di una figura come Wang Yang a prossimo premier potrebbe essere vista come un segno che Xi è stato costretto ad ascoltare le opinioni di altri membri anziani del partito, spiega in una riflessione l’Asia Nikkei Review. Wang è presidente del Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, quarto nei ranghi del Politburo e figura considerata “liberale” tra l’élite politica cinese. Wang riceve il sostengo anche da una parte della business community, che in questo momento di economia non rosea Xi potrebbe voler accontentare (anche per forma di contrasto al ruolo dell’attuale premier Li, che dopo anni di marginalizzazione ha ricevuto maggiore attenzione da Xi proprio in funzione del reindirizzare la politica economica del governo).

La nomina di una figura più distante da Xi non è detto che sua necessariamente un segno di grande debolezza: “Dato che Xi ha tolto molta autorità alla carica di premier, la nomina di Hu potrebbe essere vista come un osso gettato ad altri con poco costo per lo stesso Xi” spiega Tony Saich in un’analisi sul 20esimo Congresso scritta per la Harvard Kennedy School. Infatti, “se Hu fosse nominato premier, non significherebbe necessariamente che Xi è stato sfidato (o sconfitto, ndr), ma potrebbe semplicemente riflettere l’esperienza e l’accettabilità di Hu all’interno del partito”, aggiunge Dan Mcklin su The Diplomat.

Allo stesso modo, se Wang Yang venisse scelto Xi potrebbe pensare di poter formare una buona partnership con lui. Consapevole che comunque non rappresenterebbe una minaccia al suo potere, dimostrerebbe di essere aperto ad ascoltare gli altri veterani del Partito.

Se invece verrà nominato uno dei due top papabili vicini a Xi, come l’attuale deus ex machina di Shangai Li Qiang, allora sarà un ulteriore segno di forza di altro tipo, e magari con quello il leader potrebbe voler tramettere al resto dei gerarchi che la sua forza e il suo potere non devono essere esposti a potenziali erosioni. Almeno non in questa fase.

L’Asia Society fa notare che nel caso di Li il problema di competitività verso la premiership potrebbe essere stato minato dalle difficoltà di Shanghai nel contenere l’epidemia di coronavirus e più in generale di reagire e gestire la policy “Covid Zero” imposta dal governo.

Anche alla luce di questo problema con la pandemia, se dovesse essere incaricato proprio Li (che ha alte quotazioni), allora sarebbe davvero un segno di potenza per Xi. Passaggio importante per seppellire definitivamente le fantasiose voci su un’incarcerazione del leader a seguito di un golpe per sostituirlo.

Infine, l’altro nome xiniano è Liu He, membro del Politburo, direttore della Commissione centrale degli affari economici e finanziari del Partito e soprattuto uno dei vice premier più influenti al momento. In un’intervista sul New Yorker i tre anni fa, Victor Shih, a professore di politica economica alla School of Global Policy and Strategy della University of California, lo ha definito “uno dei tecnocrati di cui Xi Jinping si fida molto”.

Attualmente è tra le figure più intima del leader, ora ha 70 anni, ben oltre l’età pensionabile e dovrebbe essere sostituito, anche se in questo congresso si supererà già la prassi con il nuovo mandato a Xi.

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