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Secondo una recente analisi pubblicata dall’Hudson Institute, autorevole centro studi conservatore statunitense, la Repubblica Popolare sta sfruttando la crescita delle proprie capacità strategiche per consolidare la propria influenza regionale e minare la fiducia degli alleati asiatici nella protezione garantita dagli Stati Uniti. L’espansione dell’arsenale nucleare cinese non si limita dunque a rafforzare la potenza militare del Paese, ma intende creare un effetto indiretto sugli Usa.

Lo studio, che incrocia i dati sull’aumento degli armamenti nucleari con l’evoluzione della dottrina militare cinese, prende in esame diversi casi specifici — tra cui Corea del Sud, Giappone e Filippine — per mostrare come Pechino stia usando la leva del deterrente atomico per proiettare potenza senza ricorrere al conflitto diretto.

L’analisi è ancora più interessante se inserita nel quadro generale. La politica sui dazi lanciata da Donald Trump ha indebolito già parte della fiducia che certi alleati avevano nell’America. L’adattamento forzato, per necessità utilitaristica, delle pressioni commerciali da parte di Giappone, Corea del Sud, Filippine (e anche Indonesia) modifica il sentiment generale delle relazioni americane nell’Indo-Pacifico. Lo scontro retorico con l’India, il più grande partner americano, rincara la dose. L’accettazione di erodere parte dell’ambiguità strategica con Taiwan, pur di trattare un qualche accordo economico con Pechino, rischia di essere un messaggio ulteriore (tutto è negoziabile, se serve agli interessi America First).

In quest’ottica diventano ancora più preoccupanti le stime del Stockholm International Peace Research Institute, secondo cui la Cina ha raggiunto quest’anno la soglia di almeno 600 testate nucleari operative. In parallelo, Pechino ha potenziato in modo significativo le infrastrutture di lancio, in particolare i silos destinati a missili balistici intercontinentali a testata nucleare.

L’obiettivo, secondo gli autori del report dell’Hudson, non è quello di prepararsi a un confronto diretto con Washington in ambito nucleare. Piuttosto, si tratta di costruire una pressione costante — psicologica e politica — sia sugli Stati Uniti che sui loro partner regionali. Per il Partito Comunista Cinese è un modo per ottenere vantaggi strategici senza dover combattere, seminando dubbi sulla solidità della deterrenza americana e accrescendo al tempo stesso la percezione della forza nucleare cinese.

A questo si aggiunge la scelta di Pechino, lo scorso anno, di interrompere il dialogo con Washington sul controllo degli armamenti. Formalmente è stato un segno di protesta contro le forniture militari statunitensi a Taiwan. Dal punto di vista della messaggistica diplomatica è la conferma di voler procedere alla corsa nucleare senza guardrail condivisi con gli Usa.

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