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Il Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano raccomanda a tutti i cittadini che si trovano in Turchia di evitare contatti con sconosciuti; di non fornire dati personali; di assicurarsi di avere i numeri di telefono delle rappresentanze israeliane e dei servizi di emergenza; di non parlare del servizio militare; addirittura di non mostrare pubblicamente segnali dell’essere israeliani.

Canale 12 riferisce che la minaccia è “concreta e immediata”: i Pasdaran potrebbero organizzare attacchi contro gli israeliani in Turchia. Nel mirino ci sono uomini d’affari, secondo piani di attacchi che coinvolgono anche altre parti del mondo, che “il Mossad ha sventato”, dice il canale televisivo. E il pensiero scivola rapidamente verso l’uccisione del colonnello Sayad Khodayari, comandante della Unit840, un’unità speciale delle Quds Force — la forza di élite dei Pasdaran.

Stando ad alcune ricostruzioni, l’unità di Khodayari avrebbe il compito di preparare piani (e poi metterli in atto quando serve) contro figure israeliane attive al di fuori dello stato ebraico. Della Unit840 farebbe parte Mansour Rasouli, cinquantaduenne che ha recentemente confessato, filmato dal Mossad dopo il fermo, che stava organizzando attentati tra cui quelli di un diplomatico israeliano al consolato di Istanbul, un alto ufficiale militare statunitense di stanza in Germania e un giornalista ebreo in Francia.

Quando Channel 12 sostiene che il Mossad “ha sventato” attacchi potrebbe riferirsi a questo arresto, all’uccisione di Khodayari (di cui il servizio segreto israeliano è il principale indiziato), e di altre operazione per ora rimaste coperte. L’allarme — di per sé molto insolito — diffuso dalla sicurezza israeliana si lega all’eliminazione di Khodayari, che potrebbe aver incrementato la minaccia. Alla luce di questo, la killing mission del colonnello si delinea come una dimostrazione di capacità operativa e come una tattica comunicativa — ossia usare la vicenda per far sapere al mondo che l’Iran sta pianificando certe operazioni.

Messaggio da far circolare anche nel quadro delle attività diplomatiche che riguardano la ricomposizione dell’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano, il Jcpoa. Israele è sempre stato contrario sia perché accusa Teheran di portare avanti piani segreti per il raggiungimento della bomba atomica — capacità che secondo l’Onu potrebbe essere vicina adesso, dato che l’Iran ha recentemente raggiunto un punto di arricchimento dell’uranio a livello di uso militare — e sia perché gli israeliani accusano gli iraniani di portare avanti tramite i Pasdaran attività di influenza aggressive nella regione (all’interno di queste ci sarebbero le missioni della Unit840).

Secondo alcune ricostruzioni che non è possibile verificare, i Pasdaran avrebbero messo diversi operativi all’interno delle missioni diplomatiche turche, costruito società fantoccio per finanziare le attività, e sviluppato una rete di reclutamento tra i centri culturali e il mondo criminale. Israele considera la Turchia come un centro logistico per le attività delle Quds Force in Medio Oriente ed Europa.

Anche la sicurezza turca starebbe collaborando con Israele sul controllare i piani dell’Iran, e questo dà un ulteriore contesto all’avvertimento israeliano. Se è vero che Ankara sta cercando di sistemare le incomprensioni con Israele, in un quadro di allineamento generale dell’intera regione, è altrettanto vero che Turchia e Iran stanno vivendo una fase di tensione nell’area di confine. Il governo di Recep Tayyp Erdogan, interessato a ricucire con gli israeliani, trova a Teheran un nemico (comune) a cui appendere interessi diretti e indiretti.

Durante un’audizione parlamentare del 10 maggio, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha definito “inaccettabili” i progetti con cui la Turchia intende sbarrare con due muove dighe il corso dei fiumi Tigri e Aras. Rischiano di ridurre i flussi d’acqua e di provocare danni ambientali sia all’Iran che all’Iraq, ha detto Abdollahian, dando impulso (pubblico) a una disputa che finora è rimasta in gran parte confinata nei canali diplomatici.

L’approvvigionamento idrico è un tema delicato che — come le proteste dello scorso anno in Kutzestan — tocca anche sensibilità politiche e di tenuta politica, in un Paese che soffre una crisi economica che dura da anni, peggiorata con la pandemia. Come ha spiegato il presidente del Parlamento iraniano, dando impulso a una disputa che finora è rimasta in gran parte confinata nei canali diplomatici, Teheran vede la situazione dal punto di vista della sicurezza nazionale.

I turchi attribuiscono la carenza d’acqua dell’Iran alla cattiva amministrazione con cui gestisce le proprie risorse idriche e descrivono le accuse di Teheran come un diversivo con cui placare le crescenti lamentele della popolazione (sfociate tempo fa in delicate proteste). Per Ankara, grazie alle dighe sull’Aras e sul Tigri, la Turchia è stata in grado di aumentare i flussi d’acqua a livelli superiori alla norma in periodi di siccità. Dal 2017, i turchi stanno lavorando con l’Iraq per affrontare vari aspetti delle difficoltà idriche in modo congiunto. È una chiave per le relazioni con Baghdad, dove Ankara ha interessi di proiettare influenza e di poter effettuare operazioni militari contro i nascondigli iracheni dei curdi del PKK, considerati nemici e terroristi dal governo turco.

L’Iraq è un altro tema di contrasto tra Turchia e Iran. Teheran, anche attraverso le milizie sciite irachene collegate ai Pasdaran, è diventata in grado di esercitare una forte influenza a Teheran. Baghdad e il Governo Regionale del Kurdistan (KRG), che confina con l’Iran, accusano l’Iran di deviare gli affluenti del Tigri a spese dell’Iraq. La Turchia cavalca la situazione e aggiunge che l’Iran non è in grado di pensare una pianificazione agricola e dell’uso delle risorse idriche, aggiungendo come certi progetti siano controllati dai Pasdaran.

I Pasdaran in Iraq sono seguiti da Israele, che conduce da una dozzina di anni l’operazione “Mabam”, con cui cerca di impedire all’Iran di passare armi ai gruppi collegati nella regione — perché teme che quelle armi, il cui traffico è stato facilitato dal caos siriano, potrebbero essere usate contro gli interessi dello stato ebraico. Qui si chiude il cerchio: in questa fase di ravvicinamento tra Israele e Turchia, i secondi — che hanno comunque relazioni con la Repubblica islamica — si ritrovano a dover gestire una doppia partita. Con Gerusalemme, dove alcuni circoli politici considerano Erdogan filo-iraniano, i turchi usano il tema sicurezza, molto sentito anche (o soprattutto) in declinazione iraniana. Un argomento che trova sponda anche dai Paesi del Golfo, con cui Ankara sta ricostruendo i rapporti. Contemporaneamente Teheran è avvertita.

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