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Una Cina povera, costretta a inseguire gli investitori che le hanno voltato del spalle, portandosi via fior di capitali. A pochi giorni dalla notizia secondo la quale i Paperoni del Dragone sono sempre di meno, il governo di Xi Jinping vara un piano per tentare di recuperare parte dei fondi fuoriusciti dalla Cina, per approdare sulle spiagge dell’India, o del Giappone e persino degli Emirati. Il Consiglio di Stato ha infatti pubblicato un piano in 24 punti per incrementare lo stock di capitale straniero in Cina.

CACCIA AI CAPITALI FUGGITIVI

Il piano, definito d’azione, delinea varie misure per attrarre investimenti esteri, tra cui l’espansione dell’accesso al mercato nei settori chiave, garantendo partecipazione paritaria delle società straniere alle gare d’appalto governative e facilitazione dei flussi di dati transfrontalieri. Questo perché a Pechino continuano a essere convinti che gli investimenti esteri rappresentano una forza importante per la modernizzazione del Paese e per la promozione della prosperità e dello sviluppo condiviso dell’economia cinese e mondiale.

Nel dettaglio, il piano tocca cinque aspetti per tentare di riportare un po’ di fiducia intorno alla Cina. In primo luogo, si propone di espandere l’accesso al mercato, aumentando il livello di liberalizzazione degli investimenti esteri. Successivamente, si mira a rafforzare le politiche per attrarre gli investimenti esteri per poi, altro caposaldo, migliorare l’ambiente di concorrenza fornendo servizi efficaci alle imprese straniere.

In quarto luogo, si prevede di agevolare la circolazione degli investimenti per l’innovazione, facilitando la cooperazione tra imprese a capitale nazionale ed estero. Infine, si propone di perfezionare i regolamenti interni, allineandoli in modo più efficace agli standard economico-commerciali internazionali di alto livello. Non bisogna mai dimenticare che a partire dal 2023 i livelli di afflusso di investimenti diretti esteri verso la Cina sono diminuiti dell’8% su base annua, proseguendo il crollo nel 2024.

NESSUNO SI SALVA DA SOLO

Basterà? Difficile dirlo. Una cosa è certa, non è possibile pensare a un ritorno della fiducia verso il Dragone se non si cambia idea oltre i confini. E per il momento, il pessimismo la fa da padrone. La prova? Il mercato cinese è “meno prevedibile, affidabile ed efficiente”, costringendo le aziende a spostare la loro attenzione “in modo sproporzionato verso la gestione del rischio e lo sviluppo della resilienza”, in un contesto segnato da “normative draconiane”. L’ultimo rapporto della Camera di Commercio Ue in Cina ha messo in guardia dai rischi di un “incidente ferroviario al rallentatore” con il Dragone, rilevando la necessità di apportare cambiamenti nella relazione tra i due blocchi.

Circa tre quarti degli intervistati del sondaggio condotto su 1.700 iscritti hanno rivisto le proprie catene di approvvigionamento e l’esposizione in Cina negli ultimi due anni in scia a un “sentimento generale di incertezza”. Circa il 21%, invece, ha dichiarato di voler espandere la propria produzione in loco, mentre un altro 12% prevede di ridurla e solo l’1% la vuole spostare altrove. L’attenzione cinese al lato dell’offerta per rilanciare la crescita sta creando problemi in Europa e, per questo, Pechino dovrebbe creare un ambiente più sostenibile per le aziende straniere. Lo studio, redatto dalla Camera e dalla società di consulenza China Macro, fa dunque eco ai timori di aziende Ue e Usa confermati dagli investimenti esteri del 2023 scesi dell’82% a 33 miliardi, ai minimi degli ultimi 30 anni.

IL GOLFO NE APPROFITTA

Una cosa è certa. Mentre il Dragone si affanna per recuperare il terreno perduto, c’è chi fa incetta proprio di quei capitali freschi di dipartita dalla Cina. L’Abu Dhabi Investment Authority, per esempio, sta si sta offrendo di acquistare a sconto le quote in alcuni fondi gestiti a Hong Kong. “Si tratta di uno spostamento degli investitori statunitensi ma anche nel complesso occidentali, che in precedenza privilegiavano la Cina”, ha rivelato il Financial Times. Uno scippo che si aggiunge a quelli, non certo dolosi, messi in atto da India e Giappone, dove sono approdati nelle ultime settimane, numerosi fondi che prima investivano proprio in Cina.

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