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A pochi giorni dall’incontro dei vertici del Dragone, Xi Jinping incluso, con alcune delle principali multinazionali straniere, soprattutto con base negli Stati Uniti e in Europa, in Cina parte l’operazione ricapitalizzazione. Con le grandi banche, quelle a controllo statale e dunque in mano al partito, pronte ad aprire la caccia grossa alla liquidità necessaria a irrobustirne i patrimoni e a sostenere gli investimenti messi in cantiere dall’ultimo Congresso del Popolo.

Anni di crisi del mattone, insolvenze a vari livelli, consumi anemici e piccoli istituti periferici saltati per aria, hanno infatti indebolito il sistema bancario cinese. Il quale, per giunta, è ora chiamato a farsi motore di quella crescita finora latitante. E dunque, nuovi prestiti al sistema. Per fare tutto questo, rimettere in sesto il capitale e caricare nuovi bazooka, ben quattro delle più grandi banche statali cinesi prevedono un totale di 72 miliardi di dollari in collocamenti privati. Vale a dire che chiederanno al mercato decine di miliardi, a mezzo emissioni obbligazionarie.

C’è per esempio Bank of Communications, che venderà fino a 120 miliardi di yuan (16,5 miliardi di dollari) di azioni in un collocamento privato agli investitori, incluso il ministero delle Finanze cinese. Oppure Bank of China, Postal Savings Bank of China e China Construction Bank, che pianificano rispettivamente emissioni per 165 miliardi di yuan, 130 miliardi di yuan e 105 miliardi di yuan di azioni, verso il ministero delle Finanze e altri investitori. Operazioni che, a rigor di logica, seguono l’impegno delle autorità cinesi all’inizio di marzo a emettere 500 miliardi di yuan in obbligazioni sovrane speciali per ricostituire il capitale presso le più grandi banche statali della nazione.

Tirando le somme, questa massiccia iniezione di liquidità tutta per la regia dello Stato, è tutt’altro che ordinaria amministrazione, in quanto mira a rafforzare il cosiddetto Core Tier 1 Capital degli istituti coinvolti. Si tratta di un indicatore fondamentale della solidità patrimoniale che le autorità di regolamentazione utilizzano per monitorare e limitare l’eccessiva leva finanziaria. In sostanza, Pechino sta irrobustendo le fondamenta delle sue principali banche, che complessivamente gestivano già capitali per circa 10.000 miliardi di Rmb (dati a giugno scorso), per prepararle ad affrontare le tempeste economiche che si addensano all’orizzonte. L’ennesima dimostrazione dell’attenzione spasmodica del partito e del governo centrale sulla stabilità economica, considerata pilastro fondamentale della legittimità politica.

Le banche cinesi sono a corto di soldi e battono cassa al mercato

Quattro tra le principali istituzioni finanziarie del Dragone stanno pianificando emissioni per 72 miliardi di dollari. Motivo? Onorare le promesse fatte dal partito nell’ultimo Congresso e ricostruire i patrimoni logorati dalla crisi del mattone

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