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Emmanuel Macron si avvia con ogni probabilità a vincere le elezioni presidenziali francesi, rivelandosi così il più interessante interprete della politica europea ormai non più divisa (solo) tra popolari e socialisti, non più schiacciata sul dogma finanziario rigorista di (fallimentare) impostazione tedesca, non più paralizzata dai veti reciproci, come dimostrano sia la gestione della pandemia che due mesi di guerra di Putin.

Se resterà all’Eliseo per altri cinque anni Macron sarà il terzo presidente a centrare la rielezione dalla fine della seconda guerra mondiale, trovandosi così in compagnia di De Gaulle e Mitterand (per la verità il generale fece due mandati ma solo il secondo con elezione diretta): già questo basta e avanza per chiarire la portata del voto di domenica.

Però il senso di quanto accadrà in Francia domenica va ben oltre i confini nazionali, perché è così delicata la fase sulla scena mondiale da rendere bene evidente a tutti quanto gli equilibri politici nei più importanti Paesi europei finiscono per pesare su vicende globali come il rapporto con la Cina, l’alleanza con gli Stati Uniti, l’allargamento della Nato e l’atteggiamento da tenere verso Mosca, che riguarda quasi più gli approvvigionamenti di gas e petrolio che il sostegno alla resistenza ucraina.

Domenica si vota in Francia dunque. A casa nostra però deve essere chiaro che dopo Parigi sarà a Roma il prossimo appuntamento che conta della politica europea, perché all’inizio del prossimo anno si vota in Italia. Quindi saremo noi gli “osservati speciali” da lunedì in poi.

Ecco allora diventare importante capire da subito come si orientano gli italiani. E per farlo può essere utile anche vedere come si comporterebbero se fossero chiamati al voto in Francia: lo facciamo grazie ad un lavoro appena completato di Swg.

Il risultato dunque è nettamente a favore di Macron, con un distacco che non lascia margini al dubbio. La scomposizione tra i vari partiti però ci consegna qualche interessante elemento di riflessione. In particolare tre sono i punti da evidenziare. Il primo è la compattezza dell’elettorato Pd, che sceglie Macron senza esitazione (forse come “male minore”). Il secondo è la netta prevalenza del presidente uscente tra gli elettori del M5S, il che rende assai poco comprensibile la scelta di Giuseppe Conte di non pronunciarsi (l’altra sera ospite di Lilli Gruber). Il terzo è la forte prevalenza a destra di consenso per Le Pen, sostanzialmente senza differenza tra gli elettori della lega e quelli di FdI.

C’è poi un secondo dato di non poco conto che vale la pena osservare.

Qui si vede assai bene come la vittoria di Le Pen presenta aspetti in grado di preoccupare una quota importante degli italiani, segno evidente di una destra europea che ha ancora bisogno di lavorare per essere spendibile su buona parte dell’elettorato moderato.

Comunque domenica si vota e le urne (qui da noi in Europa, non certo in Russia o in Cina) sono sovrane.

Sia chiaro però che i prossimi siamo noi.

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