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“Rule Labur, Labur rule the waves” cantano ancora all’alba a Londra i laburisti di Sir Keir Starmer sulle note dell’inno patriottico della Gran Bretagna, dopo la lunga notte della storica vittoria che sorpassa di slancio tutte le precedenti affermazioni elettorali.

Ben oltre la maggioranza assoluta, l’affermazione del Labur party si lascia dietro la voragine politica che ha inghiottito il partito Conservatore, insidiato per la prima volta dalla fondazione dai liberali ed eroso dai populisti di Nigel Farage.

I Tory pagano i contraccolpi economici e sociali della Brexit e la contraddittoria leadership di 5 premier in 14 anni. Più che nero, il venerdì della totale débâcle dell’ultimo inquilino tory di Downing street, Rishi Sunak, è già passato alla storia come il giorno della quasi disintegrazione del più antico partito del Regno Unito con una preventivata sconfitta che si é trasformata in un annichilimento.

Esauriti gli hurrà, le pinte di birra e i fiumi di whisky, i neo ministri laburisti del nuovo Premier, a cominciare dal designato al Foreign Office, David Lammy, si troveranno di fronte un enorme groviglio di problemi che attanagliano un’ Inghilterra impoverita, esausta, col cappio al collo delle molte irrisolte complicazioni della Brexit, del precipitare del welfare, della sanità, dei trasporti e dei servizi un tempo fiore all’occhiello della nazione, come per esempio la Royal Mail.

“C’è una sensazione generale nel paese che niente funzioni bene”, dice con la tipica flemma british Sir Vernon Bogdanor della storica università del King’s College di Londra.
“I laburisti si ritroveranno un’eredità di macerie e ceneri”, aggiunge Robert Ford, docente di scienze politiche all’Università di Manchester.

Più che un esordio sulle ali della speranza, come quello di Tony Blair che ereditò da Margaret Thatcher un paese risanato e riportato al livello di superpotenza, quello di Sir Starmer rischia di essere un battesimo alla Churchill del discorso lacrime e sangue, con le dovute differenze storiche.

Differenze che tuttavia tendono ad assottigliarsi, viste le prospettive revansciste delle destre europee e del neo peronismo di Donald Trump negli Stati Uniti.
Il grande apporto di armamenti e di intelligence di Londra alla resistenza del popolo ucraino contro il tentativo di invasione della Russia di Putin e il tradizionale strettissimo rapporto con Washington, collauderanno l’esordio della politica estera del governo laburista.

L’approccio più delicato che si prospetta è quello probabile, ma non ancora scontato, con Trump. Sebbene Starmer abbia finora evitato commenti critici sul tycoon, non c’è nulla che faciliti il rapporto personale storicamente confidenziale e saldo fra due leader alleati, come quello che si prefigura fra un 62 enne ex Procuratore che ha diretto dal 2008 al 2013 il Crown Prosecution Service, l’ufficio per la pubblica accusa della Corona Inglese, e un 78 enne che é imputato in molteplici processi.

Nonostante il cinismo e l’atteggiamento da impunito, Trump non potrà fare a meno di essere a disagio al cospetto dell’ex magistrato nominato baronetto nel 2014 dalla Regina Elisabetta proprio per l’intransigenza e l’efficacia della sua azione penale.

L’unico vero supporto per fronteggiare la pesantissima situazione in cui trova il Regno Unito, Starmer l’avrà dalla veloce concretezza della democrazia inglese: già oggi incontrerà Re Carlo III a Buckingham Palace e riceverà l’incarico di formare il governo, poi si recherà al numero 10 di Downing Street e terrà un discorso alla nazione.
Poche promesse, molti fatti é sempre stata la sua caratteristica dialettica. Nel rispetto della tradizione britannica, lo tsunami elettorale trasformerà la svolta politica di Starmer nello spartiacque di un mare in tempesta.

Un mare una volta dominato dalla Royal Navy, come ripete la lirica di Rule Britannia, e che ora invece é insidiato nell’Atlantico e nel Mediterraneo dai sottomarini nucleari russi e dalla flotta cinese nel Pacifico.

Nel confronto con i più recenti predecessori di maggior successo, la Thatcher aveva di fronte l’Argentina di Videla e gli ultimi residui della retorica vetero marxista dei sindacati britannici, Blair cavalcò l’onda emozionale della morte di lady Diana e affrontò Saddam Hussein e la guerra al terrorismo islamico, mentre già prima di assumere l’incarico di Primo Ministro Keir Starmer deve fare i conti con i disastri economico finanziari accumulati dai tories e con un minaccioso Vladimir Putin, il peggiore e più pericoloso nemico della democrazia.

La sfida è esistenziale. Col suo piglio vagamente kennediano, citando Shakespeare, Sir Keir potrebbe ben dire: “Sappiamo ciò che siamo, ma non quello che potremmo essere”.

(Foto Commons Wikimedia)

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