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“Ho fatto impazzire l’opposizione”, dice oggi da Bruxelles Giorgia Meloni, aggiungendo: “Hanno avuto reazioni parossistiche, ho toccato un nervo scoperto” (affermazione poi smentita con comunicato ufficiale, ma la sostanza non cambia). Cosa c’è di vero in questa affermazione, e, soprattutto, come si spiega l’atteggiamento dei parlamentari di opposizione che oggi continua al Senato dopo le proteste vibranti di ieri alla Camera?

Cominciamo dal primo punto, perché bisogna considerare almeno due aspetti, per comprendere la scelta “tattica” compiuta ieri dalla premier.

Il primo aspetto è che Meloni ha tutto l’interesse a spostare la discussione dai temi di merito a questioni “identitarie”. I temi di merito sono complessi, perché complessa è la situazione: c’è un Ucraina da aiutare cercando al tempo stesso di arrivare quantomeno ad una tregua, c’è un’Europa al cui tavolo occorre rimanere (pur nella scarsa condivisione di strategia con i protagonisti principali), c’è un’America con cui continuare a lavorare pur tenendo conto del nuovo inquilino alla Casa Bianca, che certo non è semplice da maneggiare. Ma proprio perché i temi di merito sono complessi, la premier sceglie volutamente di calcare la mano su un tema identitario, cioè l’Italia di oggi come figlia diretta ed autentica della Resistenza al fascismo.

Meloni sa perfettamente che questo tema spacca il dibattito italiano in due parti che hanno ben poco da dirsi: sono decenni che si discute e non c’è più molto di nuovo da scoprire. Inoltre, l’argomento è adatto alla ricomposizione istantanea della coalizione di governo, perché nessuno si mette a fare un distinguo dalla premier quando scatta l’alzata delle bandiere politiche, o meglio quando il capo del governo viene investito da tumultuosa polemica dell’opposizione. Meloni, cioè si è collocata nella posizione ideale per consentire ai suoi alleati di difenderla senza avere mal di pancia, cosa che diventa assai più complessa quando si parla del piano ReArm Europe oggetto del vertice di oggi a Bruxelles.

Poi c’è una questione tutta interna alla sinistra (quella italiana), che non ha mai particolarmente amato né Altiero Spinelli (per decenni lasciato ai margini del sistema politico nazionale, eletto come indipendente nelle liste del Pci al Parlamento europeo in tarda età: ottiene l’approvazione dall’aula del suo progetto federalista che però il Consiglio d’Europa boccia senza appello), né Ernesto Rossi (di fatto confinato fino alla morte nel 1967 nel ruolo di giornalista sulle colonne de Il Mondo di Mario Pannunzio), ma che da sempre si ritiene unica depositaria dell’eredità della Resistenza.

Per certi versi è vero, anche se nella Seconda Repubblica molti hanno scelto la coalizione intorno a Silvio Berlusconi per continuare a fare politica: figure di spicco del mondo democristiano, di quello socialista, di quello laico repubblicano-liberale. Quindi è oggettivamente difficile sostenere che solo il Pd (lasciamo stare il M5S) può vantare quei quarti di “nobiltà”.

E comunque, nel 2025, questa discussione diventa immediatamente anacronistica.

Oppure, come sta accadendo in queste ore, un regalo a Meloni, il cui umore, infatti, è oggi assai migliore di due giorni fa.

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