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Gli Stati Uniti hanno annunciato l’inserimento di quattro gruppi europei, in Germania, Italia e Grecia, nella lista delle “organizzazioni terroristiche straniere” (Fto) e “ Specially Designated Global Terrorists” (Sdgt). Fra questi figura l’Italia, tramite l’organizzazione nota come Informal Anarchist Federation / International Revolutionary Front (Fai/Fri). L’annuncio, reso pubblico il 13 novembre 2025, entrerà formalmente in vigore dal 20 novembre. La mossa, che esula in parte dalla tradizionale focalizzazione statunitense sul terrorismo islamista, apre riflessioni sull’evoluzione delle minacce, sulla cooperazione transnazionale e sulla posizione dell’Italia nel complesso intreccio fra ordine pubblico, ideologia e sicurezza internazionale. La designazione delle organizzazioni come Fto comporta l’applicazione di strumenti legali e sanzionatori: congelamento di beni, divieto di fornire “material support or resources”, blocco dell’accesso al sistema finanziario statunitense.

Nel caso in esame, la dichiarazione del Segretario di Stato Marco Rubio ha motivato la misura con l’accusa di ideologia anarchica o marxista-rivoluzionaria, anti-americana, anti-capitalista e anti-cristiana, finalizzata a compiere assalti violenti sia sul suolo americano che all’estero. Si tratta di un ampliamento non convenzionale della nozione di terrorismo – tipicamente associata a gruppi jihadisti o separatisti – verso forme di violenza politica radicale interna/esterna che operano in Europa. Se da un lato l’organizzazione Fai/Fri è stata identificata come soggetto attivo dal 2003, con episodi identificati come “revolutionary armed conflict” contro lo Stato italiano, ciò pone almeno tre interrogativi:

  • Le possibili ripercussioni sul piano interno, ovvero come la decisione statunitense può contribuire a generare pressioni per un allargamento del perimetro nazionale della “violenza politica” da trattare come fenomeno terroristico, oppure rilanciare il dibattito su una netta distinzione tra manifestazione radicale e condotta terrorista;
  • le possibili ripercussioni diplomatiche, ovvero come l’Italia dovrà gestire il tema in sede europea ed internazionale, anche per evitare di trovarsi in conflitto con organismi Ue che seguono criteri differenti di classificazione e cooperazione.
    Va evidenziato che tale designazione interessa i tre Paesi europei sopra citati, con particolari evidenze in Germania, dove il gruppo Antifa Ost (Hammerbande) è stato direttamente citato per attacchi tra il 2018 e il 2023; in Grecia, con due organizzazioni (Armed Proletarian Justice e Revolutionary Class Self Defense), accusate di esplosioni e attacchi a infrastrutture pubbliche. L’operazione statunitense assume così una valenza transnazionale: segna un cambio di paradigma nelle priorità del contrasto al terrorismo, e potrebbe inaugurare una cooperazione più intensa fra i partner europei e gli Stati Uniti sul versante del contrasto all’eversione di matrice politica di sinistra. Tuttavia, sono diversi gli osservatori europei che stanno mettendo in guardia i paesi europei sul piano delle distinzione tra antifascismo radicale e terrorismo strutturato, un aspetto che rischia di comprimere forme legittime di opposizione. Purtuttavia la decisione degli Stati Uniti solleva diverse questioni fondamentali. Innanzitutto una di tipo giuridico: quanto può una “rete informale”, decentrata, senza leader o gerarchia nota (caratteristiche tipiche del movimento Antifa) essere collegata alla definizione classica di “organizzazione terroristica”? Già in precedenza un rapporto della Congressional Research Service segnalava che antifa spesso è “un’ideologia, non un’organizzazione strutturata”. Altra questione è quella del diritto interno: in Italia la distinzione fra violenza politica e terrorismo è già oggetto di un forte dibattito giuridico; una pressione esterna come questa rischia di innescare evoluzioni normative (o richieste) in tema di prevenzione, intelligence e antiterrorismo. Altro aspetto spinoso è riferibile all’agenda dell’ordine pubblico: in presenza di manifestazioni, cortei e radicalizzazione politica, la decisione sul piano della comprensione su che tipo di minaccia può essere considerata “terroristica” non può che spettate alle autorità italiane, così come quali possono essere le risposte operative adeguate. Purtuttavia, ciò che risulta oltremodo evidente è il messaggio che gli USA hanno trasmesso agli alleati europei:
  • la violenza politica di sinistra radicale rientra ora nella stessa architettura concettuale del terrorismo internazionale;
  • forme di rete informale, apparentemente decentralizzate, possono essere considerate “organizzazioni” ai fini delle sanzioni;
  • la cooperazione transatlantica dovrà estendersi anche a questo versante dell’estremismo politico.
    Una linea che se trova consensi in alcune aree politiche statunitensi, in Europa rischia di avere effetti opposti.

Possibili scenari futuri e roadmap per l’Italia

L’inclusione di un’organizzazione italiana nella lista Fto degli Stati Uniti marca una tappa significativa nella strategia globale del contrasto ai fenomeni riconducibili al terrorismo internazionale: non più solo gruppi jihadisti, ma anche movimenti radicali di sinistra transnazionali. Per l’Italia ciò può significare affrontare una duplice sfida: da un lato gestire le implicazioni internazionali e diplomatiche, dall’altro riflettere sul proprio ordinamento e sulle prassi operative in tema di extremismo politico. Nel contesto della crescente polarizzazione globale e del riassetto delle alleanze strategiche, l’Italia dovrà muoversi con particolare equilibrio, chiarezza e tempestività. Le linee su cui dovrà concentrarsi il lavoro strategico sono sostanzialmente riferibili:

  • all’avvio di un dialogo tecnico-diplomatico con Washington per chiarire modalità operative, implicazioni pratiche e garanzie per cooperazione;
  • al monitoraggio del potenziale effetto “spill-over domestico”, ossia la possibile mobilitazione di forze politiche o sociali che leggono la designazione come minaccia alla legittima protesta, con conseguente effetto polarizzazione;
  • alla valutazione della decisione statunitense sul piano della spinta coordinata europea verso la ridefinizione del protocollo antiterrorismo Ue – ad esempio sulla condivisione di dati, cooperazione giudiziaria, normativa comune sui controlli finanziari;
  • alla strutturazione di una comunicazione pubblica che preservi la distinzione fra attività legittima di dissenso e condotte violente e terroristiche, al fine di non indebolire le libertà civili.

Conclusione

Nonostante la sussistenza di elementi tangibili che possono giustificare una considerazione di alcune cellule come “organizzazioni violente”, non risulta altrettanto chiaro che tali strutture posseggano i requisiti per classificarli come “organizzazioni terroristiche” nel senso tradizionale (strutture solide, gerarchicamente organizzate, basate su una rete transnazionale, identificate come minacce sistemiche sulla base di una documentazione verificata). Di conseguenza, appare concreta la conduzione di una discussione, soprattutto in ambito Ue, sulla decisione Usa che definisce una sorta di “cambio di paradigma” nella definizione dei rischi, ma non può certamente apparire come un’evidenza chiusa e incontrovertibile. È auspicabile un margine di dibattito sia sul piano tecnico-operativo che politico-normativo.

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