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I giovani africani accendono le piazze. Dopo il Marocco, i ragazzi nati dal 1990 ai primi anni 2000 in Kenya, Madagascar, Senegal, Camerun, Tanzania e Nigeria stanno protestando perché esigono ai loro governi più assistenza sociale e la difesa di una miglior qualità della vita.

Le manifestazioni sono cominciate alla fine di settembre in Madagascar come contestazioni per i continui blackout dell’energia elettrica e la scarsità dell’acqua potabile negli ultimi mesi. In più, i giovani protestavano contro la corruzione nel Paese, l’aumento della diseguaglianza e la mancanza di sicurezza alimentare. Il punto è che, nonostante la scoperta di nuovi giacimenti di minerali (cobalto, oro, ecc.) e le risorse che arrivano dall’esportazione di caffè, cacao e vaniglia, il 75% dei malgasci vive sotto la soglia di povertà. La richiesta dei ragazzi della Generazione Z era niente meno che le dimissioni del presidente. Successivamente, il 12 ottobre, il presidente Andry Rajoelina si è rifugiato a Dubai. In Mali, le proteste si sono scatenate in seguito alla diffusione di un video del figlio dell’ex primo ministro Ibrahim Boubacar Keïta che festeggiava in uno yacht di lusso.

Non sono ancora trentenni e vogliono un cambiamento nel sistema, in Paesi dove l’egemonia al potere o le truffe elettorali sono tradizione. I ragazzi africani sperano in un futuro migliore nella loro casa, con più opportunità di lavoro, stipendi decorosi e i servizi minimi di acqua e luce, per non doverli cercare altrove. Non sono alleati di alcun partito politico (non credono a quelli che ci sono) e si organizzano spontaneamente attraverso i social network.

Paradossalmente, e proprio mentre le nuove generazioni chiedono un cambiamento radicale, in Africa sono stati rieletti tre vecchi politici ad ottobre: il novantaduenne Paul Biya in Camerun (alla guida del governo dal 1982), l’ottantatreenne Alassane Ouattara in Costa d’Avorio e la sessantacinquenne Samia Suluhu Hassan in Tanzania, che rappresenta un partito che è al potere dal 1977.

Come sottolinea El Pais, questi presidenti hanno avuto il cammino spianato dopo sentenze, inabilitazioni o arresti dei candidati dell’opposizione. E la risposta delle forze di sicurezza è stata la repressione e la violenza: solo in Tanzania sono morte più di 100 persone negli scontri con la polizia durante le proteste per il “risultato” elettorale. In Kenya, il recente (e fallito) tentativo di aumentare le tasse è finito con un incendio in Parlamento e la repressione della polizia è stata devastante.

Bah Traoré, responsabile di ricerca del think tank Wathi, ha spiegato al Pais che “nonostante il contesto tra Paesi è diverso, lo sfondo è uguale: un profondo rifiuto alle pratiche politiche dominante e una delusione di fronte ai leader, percepiti come troppo prossimi agli interessi occidentali. Per molti giovani africani, la lotta politica e sociale continua ad essere un fantasma collettivo alimentato allo stesso tempo dall’eredità delle grandi figure delle indipendenze […] e dalla delusione di fronte alla realtà contemporanea e le promesse incompiute”.

Le proteste dei giovani africani non hanno un’affiliazione politica. Non si tratta – soltanto – della difesa dello stato democratico, ma della tutela della vita stessa in un ambiente giusto ed equo. Più del 60% della popolazione africana ha meno di 25 anni. Il processo di democratizzazione degli anni ‘90 non ha portato con sé benessere e, siccome le nuove generazioni sono cresciute con un linguaggio di comunicazione diverso, e vedono attraverso i dispositivi digitali com’è il mondo, non si accontentano con le stesse condizioni in cui hanno vissuto i loro antenati. Vogliono un’assistenza sanitaria e un sistema educativo di qualità, buoni posti di lavoro e stipendi che permettano una vita dignitosa.

Non solo Marocco. Così i giovani africani accendono le piazze

Dal Madagascar al Kenya, i quasi trentenni del continente africano esigono giustizia sociale, opportunità di lavoro e condizioni di vita che permettano loro di avere un futuro in casa, senza bisogno di cercarlo altrove. Ma la politica (e le forze di sicurezza) sembrano dare la stessa, solita risposta…

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