Skip to main content

“Sembra un ossimoro — spiega Giuseppe Dentice, esperto di Medio Oriente e Nord Africa — ma la situazione rimane sempre grave e appesa a un filo che può spezzarsi da un momento all’altro, a causa delle violazioni reciproche e della volontà delle ali più radicali, da entrambe le parti, di minare qualsiasi tentativo di compromesso”.

Il nuovo contesto: tra tunnel, amnistie e piani internazionali

Nelle ultime settimane la crisi si è concentrata sulla città di Rafah, dove decine di militanti di Hamas sarebbero rimasti intrappolati nei tunnel al di là della linea di separazione con Israele. Gli Stati Uniti hanno proposto di usare questa vicenda come banco di prova per il disarmo pacifico di Hamas: i miliziani consegnerebbero le armi a una terza parte — Egitto, Qatar o Turchia — in cambio dell’amnistia e del trasferimento nelle aree sotto controllo palestinese. Israele, però, resta scettico e la parte più estremiste della coalizione che dà ossigeno politico al premier Benjamin Netanyahu rifiuta qualsiasi ipotesi di perdono. Sullo sfondo, Washington lavora a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per creare una forza internazionale di stabilizzazione (ISF) con mandato biennale, che garantisca la sicurezza nella Striscia durante la transizione verso un ritorno graduale dell’Autorità Palestinese. Intanto, Hezbollah ha respinto le pressioni statunitensi ed egiziane per aprire un negoziato diretto con Israele, mantenendo alta la tensione sul fronte libanese – dove Israele ha colpito postazioni del gruppo terroristico anche nelle scorse ore.

Una guerra che diventa politica interna

Le complessità sono molteplici. Secondo Dentice, tanto Israele quanto Hamas stanno utilizzando la guerra — o la sua sospensione — per consolidare posizioni di potere. “Sul fronte israeliano – osserva – Netanyahu cerca di prosciugare i serbatoi di voti dell’estrema destra, ponendo l’attenzione su di sé. La campagna elettorale per il 2026 è già iniziata, e il primo ministro sfrutta la guerra a Gaza e la possibile riapertura del fronte nord con il Libano anche in chiave elettorale”.

Sul fronte opposto, anche Hamas è lacerata da divisioni interne. “Il bureau politico dell’organizzazione cerca di salvaguardare se stesso dalle accuse dell’ala militare, che non ha mai digerito la tregua”, spiega Dentice. “Ma allo stesso tempo Hamas sfrutta ogni spiraglio per rafforzare la propria posizione nel sistema palestinese, indebolendo Fatah e l’Autorità Nazionale Palestinese.”

Fatah in transizione, Hamas in vantaggio

La leadership palestinese è infatti in piena transizione. “Con la nomina di Hussein al-Sheikh a successore ad interim di Abu Mazen, si è cercato di placare le fronde interne”, spiega l’analista, “ma il risultato è stato quello di alimentare ulteriormente la delegittimazione di Fatah e di favorire Hamas, che oggi resta l’unico attore realmente capace di condizionare la politica palestinese”. In questo gioco di lotte di potere interno c’è poi la crisi umanitaria a Gaza e tutto quello che ne consegue anche in termini proprio di gestione della stessa crisi, non solo come pressione sulle persone.

In questo quadro, la cosiddetta “fase 2” della crisi — la stabilizzazione della Striscia e la ricostruzione — resta un miraggio? “Siamo lontani da qualsiasi attuazione reale. Anche qualora venissero rilasciate le ultime salme degli ostaggi israeliani, restano irrisolti i nodi del monopolio della violenza e della gestione del territorio”.

Una forza internazionale impossibile senza Hamas

Il principale ostacolo rimane la questione del potere sul terreno. “Qualsiasi transizione non può essere garantita senza Hamas”, evidenzia pragmaticamente Dentice. “È l’unica forza che detiene il controllo effettivo del territorio e delle armi, e che può neutralizzare le altre milizie. Pensare di escluderla significherebbe creare un vuoto che nessuno potrebbe colmare.”

Ma, anche ammesso un coinvolgimento minimo di Hamas (cosa che Israele difficile può accettare formalmente), chi dovrebbe assumersi la responsabilità della sicurezza e della ricostruzione? “Gli Stati Uniti e gli europei si tengono alla larga; i Paesi arabi non vogliono esporsi, se non Egitto e Giordania, che per motivi propri intendono mantenere un ruolo ma non farsi carico dell’intera gestione”, spiega Dentice. “Altri attori come Turchia, Indonesia e Pakistan mostrano interesse, ma ognuno per ragioni diverse”.

Proprio la Turchia rappresenta, secondo Dentice, la variabile più controversa. “È l’attore più temuto da molti Paesi arabi. Ankara è uscita rafforzata da gli accordi di Sharm el-Sheikh, ma la sua presenza a Gaza irriterebbe tanto l’Egitto quanto Israele, che la percepiscono come un fattore di accerchiamento, soprattutto in combinazione con il fronte siriano”.

Un equilibrio instabile

La guerra a Gaza continua così a tenere sospesi anche altri dossier regionali. “Senza Gaza, paradossalmente, molti fronti torneranno ad accendersi”, avverte Dentice. “Dal Libano alla Siria, fino all’Iran, che resta sullo sfondo ma con un peso decisivo nelle dinamiche regionali”.

Il risultato è un Medio Oriente “estremamente volubile, che si regge a doppio filo con quanto accade a Gaza”. “Non siamo davanti a una vera de-escalation — conclude Dentice — ma a una moderata stabilità. Gli echi della guerra e le minacce che si muovono nel sottobosco politico e securitario sono tali da far temere scenari peggiori. La situazione resta estremamente delicata e preoccupante”.

Tregua o tragica stabilità? Dentice racconta Gaza 25 mesi dopo

Sin dalle prime ore del 7 ottobre 2023, Giuseppe Dentice, analista dell’Osservatorio sul Mediterraneo (Osmed) dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V, commenta con Formiche.net l’evoluzione della guerra a Gaza e del conflitto regionale collegato. Venticinque mesi dopo, la sua diagnosi rimane cupa: una tregua fragile, sospesa in quella che definisce “una tragica stabilità”

La persona al centro è la chiave. Il successo di Sec Newgate spiegato da Tagliabue

Da un’agenzia nata a Milano trentacinque anni fa a un gruppo globale che oggi opera in trentuno Paesi. La storia di Sec Newgate è quella di una crescita costante, fatta di visione, acquisizioni e spirito imprenditoriale. Il riconoscimento come Global Agency of the Year 2025, assegnato da PRovoke Media a Chicago, ne conferma la maturità internazionale. Colloquio con il ceo,  Fiorenzo Tagliabue che racconta l’evoluzione dell’azienda leader nel settore del corporate affairs

La Corte Suprema sui dazi di Trump: rigore del diritto o tenuta del sistema?

Di Luca Picotti

Trump ha utilizzato l’International emergency economic powers act per imporre i dazi reciproci. Questo strumento accorda al presidente dei poteri eccezionali previa dichiarazione di emergenza nazionale. Non era invece mai stato adottato per imporre nuovi dazi. L’emergenza nazionale che avrebbe giustificato tali provvedimenti? Il deficit americano con i partner commerciali e la speculare necessità di riequilibrarlo, pena la compromissione della sicurezza nazionale… L’analisi di Luca Picotti, avvocato e saggista, research fellow Osservatorio Golden Power, autore di Linee invisibili (Egea) e La legge del più forte (LUP)

L’Italia può trainare l’Europa nella space economy. Ecco come secondo Mascaretti

Dopo il lancio del satellite Sentinel-1D, ultimo tassello della prima costellazione del programma europeo Copernicus, l’Europa guarda con rinnovata ambizione alla nuova frontiera della space economy. Ma per colmare il divario con Stati Uniti e Cina serve un cambio di passo nella governance e nei modelli industriali. A confermarlo è Andrea Mascaretti, presidente dell’Intergruppo parlamentare per la space economy

È la Grecia la porta per far entrare il gas (non russo) in Europa

Il disegno della Casa Bianca è chiaro e ricalca i primi passi degli accordi siglati in occasione della prima amministrazione Trump, quando i destini energetici del Mediterraneo iniziarono a mutare: di fatto gli Stati Uniti hanno deciso che la sostituzione completa del gas russo può essere tale solo usando al meglio le infrastrutture greche, in particolare i due terminali di Revithoussa e Alexandroupolis

Quale sarà la nuova Siria di Al Sharaa. L'analisi di Cristiano

Il jihadista divenuto uomo di Stato lunedi sarà alla Casa Bianca, invitato da Donald Trump. Un fatto epocale per la Siria, ma anche per la Casa Bianca, che accoglie un ex seguace di bin Laden, come è noto. Ma da ieri, Ahmad Al Sharaa, con 14 voti a favore e l’astensione cinese, non è più nella lista dei terroristi stilata dall’Onu. Riccardo Cristiano riflette sul nuovo corso ancora da scrivere della Siria

All'Italia servono confronto e strategie di crescita (e meno scioperi). La versione di Bonanni

Landini potrà pure chiamare l’ennesimo sciopero, ma chi davvero rappresenta lavoro e impresa deve sedersi al tavolo, con governo e opposizioni, non per chiedere ciò che nessuno potrà dare, ma per costruire insieme una strategia di crescita. Il commento di Raffaele Bonanni

Senza sussidi Byd dovrà giocarsela alla pari anche in Europa

Con l’approvazione dell’ultimo piano quinquennale, Pechino ha sancito lo stop al sostegno pubblico al costruttore di Shenzhen. Che ora dovrà tornare a rispettare le leggi del mercato, dimostrando di che pasta è fatto. E non solo in Cina

Pechino mostra la sinergia tra droni e piattaforme navali. Ecco l'ultimo test

La Cina torna a mostrare le sue ambizioni “joint” nel settore unmanned, con le prime immagini del test navale del drone elicottero Ar-500Cj che rivelano l’impiego di una misteriosa piattaforma navale sperimentale. A ulteriore riprova dell’importanza dei sistemi senza pilota nell’apparato aeronavale di Pechino

Risiko o Monopoly? Il Ponte di Biserta tra Pechino, Bruxelles e Roma

Finanziato dall’Europa ma costruito da una società cinese, il ponte di Biserta è un tassello della competizione globale per il controllo delle rotte e dei dati nel Mediterraneo. Qui Pechino, Bruxelles e Roma giocano una partita di soft power, deterrenza e capacità di sovranità digitale

×

Iscriviti alla newsletter