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Come si governa il mondo, o parte di esso? Come si plasma il destino di un’economia? C’è chi lo fa con la forza della politica, la visione, il benessere, la crescita e i valori. La Cina lo fa con il denaro. Tanto denaro. Ne sanno qualcosa in Africa, dove gran parte dei governi è finito letteralmente travolto dai prestiti concessi dalle banche statali del Dragone, finendo legati mani e piedi a Pechino. Il problema è però, se possibile ancora più grande. Perché non c’è solo il continente africano ad essere finito nelle sabbie mobili del debito cinese. Anche un pezzo di Occidente ha sperimentato sulla propria pelle l’onere di ricevere finanziamenti e prestiti dal Dragone.

C’è un report di una delle principali banche dati americane, AidData, che la dice lunga su come in questi anni la Cina si sia infilata nei gangli delle economie più o meno avanzate. A cominciare da quella degli Stati Uniti. Una questione, peraltro, già sollevata qualche giorno fa proprio da questo giornale. Ora però ci sono i numeri. Negli ultimi dodici anni anni Pechino ha prestato più di mille miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo, ma anche a quelli maggiormente industrializzati. Praticamente un terzo dell’intero debito pubblico italiano. Africa, Asia, Sud America, nulla si è salvato dal fiume di denaro cinese.

Anche gli Stati Uniti sono finiti intossicati dai finanziamenti di Pechino, per un ammontare di circa 200 miliardi di dollari (al netto dei 730 miliardi di dollari detenuti dalla Cina in titoli del Tesoro statunitensi). Soldi riversati nella costruzione di oleodotti, data center e terminal aeroportuali, ma utilizzati anche per oliare gli ingranaggi di molte grandi aziende, incentivando per esempio le fusioni. A Washington non hanno certo dormito, drizzando le antenne già da diverso tempo e prendendo le dovute contromisure. Ma quel denaro, comunque, seppur in quota ridotta, ci è arrivato al di là dell’Atlantico. Secondo AidData, negli ultimi 25 anni, in totale, banche e imprese statali cinesi hanno erogato prestiti e sovvenzioni per un valore di 2,2 trilioni di dollari in tutto il mondo.

Il rapporto chiarisce  come Pechino abbia utilizzato le proprie immense risorse finanziarie per posizionarsi in settori strategici e creare potenziali ostacoli alle catene di approvvigionamento. La maggior parte dei finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo, invece, è consistita in prestiti per grandi progetti, facendo sprofondare i suddetti governi nella melma del debito e aprendo la strada a una catena di insolvenze. Prestiti che  hanno subito un’accelerazione dopo il 2013, sotto la guida di Xi Jinping, che ha utilizzato le casse cinesi per erogare, come detto, oltre mille miliardi di dollari in prestiti per progetti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo attraverso la Belt and Road Initiative.

“I banchieri cinesi tendono a concedere soldi per progetti redditizi, ma spesso sono anche costretti a prestare attenzione ai diktat del Partito Comunista”, ha affermato Andrew Collier, ricercatore senior presso la Harvard Kennedy School ed ex presidente della Bank of China International negli Stati Uniti. “I presidenti delle quattro maggiori banche statali sono tutti giocatori al tavolo da poker al più alto livello del governo cinese”. Già, ma chi vince alla fine?

Dall'Africa agli Usa. Lo tsunami di soldi cinesi che non ha risparmiato nessuno

Negli ultimi 25 anni, secondo un rapporto di AidData, dalle banche e le finanziarie del Dragone sono piovuti oltre 2 mila miliardi di dollari, di cui mille solo dal 2013 ad oggi. Soldi utilizzati per scopi diversi tra loro. E tra le vittime eccellenti non c’è solo l’Africa

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