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Amazon prevede di lanciare in orbita bassa la costellazione Kuiper da 3236 satelliti per fornire connessioni Internet ad alta velocità in tutto il pianeta. I primi due prototipi, KuiperSat-1 e 2, dovrebbero essere lanciati entro la fine di quest’anno sul razzo RS1 della ABL Space Systems, una start-up californiana fondata nel 2017 e partecipata da Lockheed Martin. Il calendario complessivo dei lanci però non è stato annunciato, anche se la licenza FCC richiede che metà della costellazione sia lanciata entro il 2026 e il resto entro il 2029.

Per assicurarsi i servizi di lancio, Amazon aveva emesso l’anno scorso una richiesta di offerta a diversi provider commerciali e ora ha pre-acquistato ottantatré razzi di cui quarantasette dalla United Launch Alliance (ULA, JV tra Boeing e Lockheed Martin) e diciotto rispettivamente da Blue Origin e da Arianespace. La scelta delle due società statunitensi si comprende da un punto di vista industriale perché la Blue Origin è di proprietà di Bezos e la ULA userà il potente motore BE-4 che sta sviluppando proprio la Blue Origin; mentre la scelta del provider europeo si comprende da un punto di vista tecnico e politico.

Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, prova a recuperare il ritardo accumulato nei confronti della SpaceX di Elon Musk che però sta già riempiendo l’orbita bassa di satelliti Starlink (se ne prevedono dodicimila) i cui primi duemila sono già operativi. Per la società francese Arianespace, e per il comparto industriale europeo che realizza il vettore Ariane, si tratta di una boccata di ossigeno al portafoglio ordini. Dalla base della Guyana verranno effettuati nell’arco di tre anni 18 lanci di Ariane 6, 16 dei quali saranno effettuati con una versione migliorata, Ariane 6.4, in grado di trasportare da 37 e 39 satelliti Kuiper con una singola missione. Questo grazie a una versione accresciuta dei boosters a propellente solido P120C+ realizzati in Italia.

Ciò che interessa qui è provare a capire l’aspetto politico e commerciale dietro a questo contratto.

Bezos non può restare indietro nella corsa commerciale allo Spazio e di fronte ai continui successi di Musk, nuovo leader indiscusso dell’industria spaziale globale, vuole dimostrare con questo annuncio di essere ancora in pista. E forse una mano potrebbero dargliela anche gli europei, in particolare i francesi. Ai più sembra essere sfuggito che contemporaneamente all’annuncio di Amazon sui contratti di lancio, prendeva corpo proprio in Francia uno stop al programma Starlink che potrebbe avere conseguenze importanti. La società americana ha infatti appena perso la possibilità di utilizzo delle frequenze di trasmissione dopo un appello al Consiglio di Stato di Parigi da parte di alcune associazioni ambientaliste.

Secondo i ricorrenti, che festeggiano la decisione del Consiglio, la decisione del tribunale vieta di fatto a Starlink di utilizzare le frequenze di trasmissione e quindi di offrire il proprio servizio internet via satellite in tutta la Francia. Ovviamente ci sarà tempo per i ricorsi, ma potenzialmente in Europa potrebbe sorgere altre situazioni simili. A metà febbraio i 27 paesi della Ue riuniti allo Space Summit hanno concordato sulla necessità di disporre di una propria costellazione di satelliti per le comunicazioni sicure a larga banda. “Un forte atto di sovranità”, lo ha definito il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire. Poche settimane prima era stato il presidente Emmanuel Macron nel corso della presentazione del piano “France Relance” e nominare più volte proprio la SpaceX come un allarmante e competitivo modello tecnologico e commerciale.

Sulle colonne del Financial Times, il DG dell’ESA, l’austriaco Josef Aschbacher, aveva esortato i governi europei a coordinarsi per contrastare le ambizioni di dominio spaziale di Musk così da evitare di ritrovarsi con le orbite terrestri monopolizzate e con le regole dei nuovi mercati economici definite dalla SpaceX. Ma l’industria spaziale europea, da sempre sostenuta finanziariamente dai governi, ha un track record eccellente nella competenza tecnica, un po’ meno non nell’efficientamento dei costi produttivi e nella rapida commercializzazione, e il progetto UE per la costellazione satellitare richiederà molti anni per concretizzarsi.

L’Europa ha tutto da perdere se si realizzasse il monopolio di Starlink nello Spazio. Negli ultimi trent’anni si sono affermate alcune importanti società europee nelle comunicazioni satellitari, Eutelsat, SES e Inmarsat, il cui modello di business però sta diventando oggi sempre più fragile. Nella precedente era spaziale il “santo Graal” satellitare era l’orbita geostazionaria che garantiva copertura nazionale e continentale, e su quella fascia gli operatori europei si sono affrontati con una relativa concorrenza. In alcuni casi sono persino riusciti a cooperare con i concorrenti americani ricevendo un ritorno, per esempio, nella riallocazione delle frequenze in banda C. Ma adesso con SpaceX che inonda di migliaia di satelliti l’orbita bassa, la copertura, e quindi la concorrenza, diventa planetaria, sorta di globalizzazione spaziale.

Oggi gli operatori satellitari europei sono vulnerabili perché hanno nell’orbita geostazionaria grandi investimenti in capacità satellitare che non si può spostare o riallocare e che necessita di tempi lunghi (oltre dieci anni) per il rientro economico. L’anno scorso Eutelsat, che ha sede a Parigi ed è partecipata in minoranza dallo stato francese, ha speso parte del mezzo miliardo di dollari ricavati dall’asta delle frequenze in banda C statunitensi per acquistare una quota del 24% in OneWeb, l’azienda inglese che vuole fare concorrenza a Starlink. Una mossa intelligente per diversificare il modello di business ma nel contempo anche un singolare “menage à trois” tra i governi francese, inglese e l’operatore telefonico indiano Bharti.

Il futuro è incerto. Gli attuali satelliti OneWeb sono costruiti da Airbus ma quelli futuri potrebbero essere riprogettati per aggiungere una funzione di geolocalizzazione e fornire all’esercito britannico i servizi che gli sono stati negati dal Galileo dopo la Brexit.

Comunque sia, la mossa di Eutelsat sembra puntare all’unico grande punto debole di Starlink: l’accesso diretto al mercato. OneWeb persegue una strategia wholesale (medesimo modello di Eutelsat) vendendo capacità trasmissiva a governi, istituzioni e rivenditori, mentre Starlink fornisce direttamente a ogni singolo utente dei servizi satellitari a due vie, cioè ricezione e trasmissione, e quindi ha bisogno di avere i diritti di “landing” e “service” in tutti i paesi dove opera, cioè nell’intero pianeta. Però gli enti regolatori delle diverse nazioni possono rifiutarsi (come vuole fare la Russia) di concedere a Starlink l’uplink e il downlink nel World Wide Web bypassando l’infrastruttura nazionale.

Probabile che la società di Elon Musk riceva il permesso di operare in alcuni paesi europei, tra cui UK e Germania, ma la decisione del Consiglio di Stato francese potrebbe costituire un precedente.
E forse la salomonica decisione di Amazon di pre-acquistare servizi di lancio negli Stati Uniti e in Europa, cioè dalla Francia, potrebbe essere letta come una saggia mossa commerciale di diversificazione dei fornitori e come un’altrettanta saggia mossa politica di mitigazione del rischio.

L’Europa prova a contrastare con Amazon il monopolio di Musk

Amazon ha scelto il lanciatore europeo Ariane 6 per mettere in orbita una parte dei tremila satelliti della sua futura costellazione “Kuiper”. Diciotto degli ottantatré lanci necessari saranno effettuati da Arianespace, gli altri da operatori statunitensi. Ma cosa c’è dietro quello che appare come un semplice contratto di lancio? L’opinione di Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale

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