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L’amministrazione Biden ha trasferito un numero significativo (non definito) di batterie anti-aeree Patriot all’Arabia Saudita nell’ultimo mese, soddisfacendo la richiesta urgente di Riad di un rifornimento di questo genere di sistemi difensivi in mezzo a forti tensioni nel rapporto reciproco e all’aumento delle azioni dei ribelli yemeniti Houthi.

Anche ieri, domenica 20 marzo, la coalizione internazionale a guida saudita ha riferito che i ribelli Houthi hanno lanciato quattro attacchi contro il regno: non hanno causato vittime, ma hanno colpito aree civili. Ormai questi bombardamenti, conseguenza dell’impegno di Riad per fermare l’avanzata degli Houthi che dura dal 2015, sono all’ordine del giorno.

Uno stillicidio che mette in difficoltà il regno, che ha raccontato l’impegno in Yemen (il cortile geopolitico di casa) come una necessità di sicurezza nazionale. Da tempo i cittadini sauditi, che hanno visto l’erede al trono Mohammed bin Salman spiegare l’importanza dell’entrare in guerra sul suolo yemenita, subiscono un deterioramento della condizioni securitarie interne – proprio connesso a quell’impegno militare. È un problema per la leadership, perché sembra inefficace.

Da non sottovalutare poi l’aspetto generale: gli Houthi ottengono assistenza militare dai Pasdaran, che passano loro componentistica con cui fabbricano i missili e i droni che colpiscono l’Arabia Saudita – e da qualche mese anche gli Emirati Arabi Uniti. Ogni razzo che piove sul territorio dei due regni sunniti del Golfo è per certi versi un colpo a favore della Repubblica islamica sciita nella grande guerra indiretta che le potenze regionali combattono usando i propri proxy.

L’arrivo di nuovi Patriot bilancerebbe la scelta statunitense di trasferirne in Australia alcuni già schierati in Arabia Saudita. Questo spostamento aveva rappresentato simbolicamente come Washington considerasse una priorità il quadrante indo-pacifico nell’ambito di un ridimensionamento strategico in Medio Oriente. Dalla Grecia era arrivata una soluzione parziale.

Le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita si sono particolarmente deteriorate da quando Joe Biden ha assunto l’incarico presidenziale, e hanno anche toccato questioni legate alla crisi bellica in Yemen – come per esempio la decisione della Casa Bianca di rimuovere gli Houthi da una lista di gruppi terroristici designati o lo stop momentaneo all’assistenza militare a Riad (che invece cercava già rafforzamenti da tempo, anche prima di negoziare una pace con gli Houthi).

Alla base di queste tensioni ci sono i rapporti tra Biden con bin Salman, il leader de facto del Paese, accusato dalla Cia di essere stato il mandante dell’assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Kashoggi, considerato un personaggio scomodo dal principe ereditario. Inoltre l’amministrazione Biden, che ha elevato il tema dei diritti democratici nella propria agenda narrativa, ha cercato di sganciarsi dalle azioni saudite in Yemen dove spesso Riad è stata accusata di non discriminazione dei bersagli.

La notizia dei nuovi Patriot, uscita sul Wall Street Journal, bilancia un’altra indiscrezione arrivata sempre al giornale finanziario americano, secondo cui bin Salman si era rifiutato di ricevere una telefonata da Biden, il quale sta invece cercando Riad per convincerlo ad aumentare le produzioni di petrolio. I sauditi glissano, rispettano un accordo stretto in ambito Opec+ con la Russia; mentre gli americani vorrebbero che l’aumento dell’output andasse a stabilizzare l’abbassamento dei prezzi, schizzati dall’inizio della guerra di Putin.

L’uscita di questo genere di informazioni potrebbe anche essere un botta e risposta tra Stati Uniti e Arabia Saudita, e dovrebbe anticipare di qualche giorno l’arrivo del segretario di Stato Antony Blinken a Riad. Il capo della diplomazia americana viaggerà in Medio Oriente (sarà anche ad Abu Dhabi e in Israele) per rassicurare gli alleati della presenza americana in un momento in cui le risposte dal Golfo sembrano più fredde.

“L’America coprirà le spalle dei nostri amici nella regione”, aveva detto Biden, ma la decisione statunitense si lega anche a un necessità diretta. Se l’obiettivo è evitare che il prezzo del greggio salga – per non soffrire costi alti alla pompa (che è laddove i cittadini soffrono direttamente e visibilmente certi contraccolpi di crisi geopolitiche) – allora la difesa del territorio saudita (ed emiratino) diventa fondamentale.

L’Arabia Saudita “non si accollerà alcuna responsabilità” per le carenze nelle forniture di petrolio alla luce degli attacchi degli Houthi sostenuti dall’Iran, ha detto d’altronde il ministero degli Esteri saudita in una dichiarazione. Questi assalti transfrontalieri sono una “minaccia diretta alla sicurezza delle forniture di petrolio in certe circostanze estremamente sensibili, testimoniate dai mercati energetici globali”, ha aggiunto. Riad ha trovato una chiave, mentre minaccia un flirt con la Cina? D’altronde c’è un precedente: il mondo petrolifero andò in crisi nel settembre 2019 davanti a un attacco monstre contro i siti di produzione sauditi.

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