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Mi sembra che di fronte alla grave “crisi di sistema” in cui annaspano i partiti si stia partendo con il piede sbagliato, attraverso sterili discussioni di mera ingegneria istituzionale e astratte definizioni di ipotetici schieramenti politici. È, invece, mia profonda convinzione che senza una cultura politica di base non ci sono le premesse stesse della politica.

Sembra a me che in un sistema politico in cui non riemergono grandi famiglie culturali, che si contendono la guida del paese, sia il proporzionale che il maggioritario rimangono gusci vuoti. Per questo ho ritenuto necessario, con la pubblicazione del mio ultimo saggio (“Perché non basta dirsi democratici. Ecosocialismo e giustizia sociale”, Guerini e associati) impegnarmi sui temi identitari e sulla ridefinizione dei “fondamentali” di una sinistra e di un centro-sinistra radicalmente rinnovati.

Come ci si chiede nella presentazione del volume: ha un senso parlare ancora di socialismo? No, se lo si considera una ripetizione delle esperienze del passato. Ma il socialismo è prima di tutto una forma di pensiero, una filosofia sociale, una chiave di interpretazione della realtà, di cui abbiamo urgente bisogno se non vogliamo rimanere schiacciati nelle logiche della globalizzazione e della digitalizzazione tecnologica, del dominio dei padroni del calcolo, degli algoritmi.

Questo, pertanto, va “considerato come il mio testamento spirituale”, la mia elaborazione del lutto e, nello stesso tempo, il compendio dei “fondamentali” per una sinistra all’altezza del nostro tempo.

Dove cerco di mostrare come gli ideali solo in parte realizzati dal socialismo democratico e affossati con il crollo del socialismo reale mantengono ancora un loro valore, come ebbe a dire Bobbio al momento del crollo del Muro.

Per questo riparto, dialogando con Antonio Labriola, dai valori fondanti del socialismo, prima delle grandi scissioni del 900, individuandoli nell’internazionalismo, nella centralità del valore umano e sociale del lavoro, nella cooperazione al posto della competizione selvaggia.

Sotto questo profilo si tratta, come dicevo, di una elaborazione del lutto per le sconfitte del passato, che è finora mancata alla sinistra, e che metto a disposizione delle varie sinistre con l’intento non già di ritornare al passato, ma di inverare quei valori, ridefinendoli in un tempo totalmente diverso. Si tratta, a mio avviso, di un saggio di filosofia sociale e di teoria politica, ma anche di una risposta attualissima alla crisi del rapporto tra cittadini e politica che ritengo del tutto sterile pensare che si possa risolvere, esclusivamente, sul pur necessario terreno della ingegneria istituzionale. Che si ridurrebbe a mero esercizio politicista se non si rimettessero in campo grandi famiglie culturali, non già attraverso l’amarcord del passato, bensì operando un vero e proprio Aufheben, superando conservando. Questo perché ritengo che anche le più radicali innovazioni, e forti rotture, devono riannodare il rapporto tra passato e presente per guardare al futuro, per uscire da quell’eterno presente, privo di orizzonte, che è alla base del tracollo dei partiti. Tema, questo, ancora quasi del tutto assente dall’attuale dibattito pubblico.

Sotto questo profilo la mia vuole essere una risposta a quella “crisi di sistema” di cui si sta parlando in Italia, in modo ancora troppo prigioniero della politica politicante, guardando, nello stesso tempo, alla più generale crisi della democrazia nel mondo. E cerco di farlo attorno a tre snodi fondamentali.

Il primo snodo è costituito dal tentativo di una ridefinizione della contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro all’interno di una visione più ampia, come contraddizione tra l’energia complessiva del lavoro materiale e intellettuale incorporato nella scienza e nella tecnologia e l’appropriazione privatista e incontrollata dei frutti dell’intelligenza sociale complessiva. Il superamento della separazione del lavoratore dal frutto del proprio lavoro si allarga così a quello del superamento della separazione dell’insieme dell’umanità dai frutti della scienza. Il che mi permette di allargare l’arco delle forze che sono chiamate a battersi per una “società altra”.

Il secondo snodo, si riferisce alla ridefinizione delle forze motrici del cambiamento al di là dei partiti tradizionali, ponendo al centro, oltre alla dignità del lavoro il tema del duplice movimento della modernità che produce accanto alle vecchie nuove povertà.

Il terzo, si concentra sulla ricerca di una sintesi alta tra questione sociale e questione ambientale nella direzione di un ecosocialismo che mi spinge a una ridefinizione di parole inflazionate come riformismo e libertà. Ciò mi ha suggerito una ridefinizione della stessa parola socialismo lungo il percorso di un socialismo a tappe, e di un riformismo transnazionale che muove i primi passi dentro il capitalismo, in un originale rapporto tra evoluzione riformista e salto qualitativo, tra riforma e rivoluzione. In sostanza facendo uscire la stessa parola rivoluzione, ingiustamente abbandonata, dalla visione barricadiera del passato per ridarle il significato scientifico che è presente in tutte le scienze. Ciò mi permette di superare il tabù metafisico, il divieto stesso di pensare a formazioni sociali diverse da quella capitalista.

In conclusione, credo di aver fornito un orizzonte culturale, ma anche una nutrita disanima di snodi programmatici, quali, tra gli altri, la centralità del lavoro e la cogestione, la democrazia economica, la democratizzazione del cyberspazio, una società a misura delle donne, la riforma dell’Europa e della governance mondiale, che propongo alla immediatezza del dibattito politico in corso.

Dico subito che io, come si sa, non mi impicco ai nomi, nemmeno a quello di ecosocialismo, anche se fornisco una nutrita documentazione di come stia già facendo il giro per il mondo.

Come ho scritto in conclusione poco importa se le generazioni future chiameranno questa narrazione “socialismo”. Quello che oggi conta è che chi si sente erede di quella tradizione, sia esso socialista, comunista, democratico di sinistra o genericamente progressista, sappia, contaminandosi con altri percorsi ideali, riallacciare il discorso tra passato, presente e futuro. Per non affidare alle nuove generazioni solo l’attuale vuoto ideale, ma un lascito di speranza.

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