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Le giornate seguite all’annunciata data dell’invasione russa son state segnate da una nuova recrudescenza del conflitto in Donbas, con ben 1566 violazioni del cessate il fuoco segnalate dalla missione Osce, l’evacuazione di migliaia di persone in Russia, accuse reciproche di bombardamenti e di attacchi.

Mentre ancora una volta le città dell’Ucraina sud-orientale si son trovate al centro di una guerra che va avanti dal 2014, a domenica sera più di 53.000 rifugiati hanno varcato il confine russo, dove i posti di frontiera funzionano solo in entrata. Rifugiati distribuiti nelle varie regioni russe, alloggiati nei campi per l’infanzia e in altri ricoveri, in una gestione dell’emergenza che nelle prime ore è stata all’insegna del caos, per poi risolversi nell’invio dei convogli, alcuni dei quali ferroviari, dalla zona di Rostov.

Quel che vediamo in queste ore è un conflitto in cui la dimensione della comunicazione sovrasta le bombe, e prova a costruire il consenso. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato al programma televisivo Moskva.Kreml’.Putin di temere provocazioni o scintille in Donbass, per poi aggiungere come la Russia sia sempre stata attaccata nella storia e non abbia mai iniziato guerre.

Nella stessa giornata, dopo l’annuncio del prolungamento delle esercitazioni militari congiunte in Bielorussia a causa della situazione in Ucraina, vi è stata una lunga conversazione telefonica tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin, seguita da un colloquio tra il presidente francese e Volodymyr Zelensky.

L’attivismo di Macron, alle prese con una difficile campagna elettorale dov’è il favorito da sconfiggere, nelle ultime settimane è stato volto a trovare una soluzione, ponendosi come possibile intermediario tra Mosca e Kiev, in costante contatto con i due presidenti. L’Eliseo ha annunciato un incontro del gruppo trilaterale per concordare un cessate il fuoco nelle prossime ore, circostanza al momento non confermata dal Cremlino.

Per il 22 febbraio son stati convocati gli organismi parlamentari russi, cioè il Consiglio della Federazione e la Duma. Se per quanto riguarda la Duma la seduta segue l’adozione della mozione sul riconoscimento delle repubbliche separatiste rivolta al presidente, al momento all’ordine del giorno del Consiglio della Federazione vi è il dibattimento su questioni inerenti la spesa militare, il fisco e la giustizia.

Il presidente, secondo l’articolo 102 della Costituzione russa, deve chiedere l’autorizzazione al Consiglio per l’invio delle truppe all’estero, come avvenuto nel marzo 2014 per la Crimea e nel 2015 per la spedizione in Siria. Inoltre, nella legge sulla difesa, con un paragrafo all’articolo 10, introdotto nel 2009, è previsto l’impiego dell’esercito in caso di pericolo per i cittadini al di fuori dei confini: in Donbas, su circa 3,7 milioni di abitanti, vi sono più di 720mila detentori di passaporto russo, e nelle ultime settimane, secondo le fonti di Mosca, un altro milione avrebbe chiesto la cittadinanza.

Parigi, dopo la conversazione tra Macron e Putin, ha annunciato di voler lavorare a un vertice per ridefinire le basi di un nuovo equilibrio europeo all’insegna della pace e della sicurezza sul continente. Zelensky, nel corso della conferenza di Monaco (disertata da Putin e da Lavrov), ha chiesto assicurazioni sulla difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina, mentre l’incertezza cresce, e le possibilità di un ulteriore intensificarsi delle operazioni belliche in Donbass crescono.

Se gli scenari di un conflitto globale appaiono (per fortuna) ancora improbabili, una possibile mozione di riconoscimento delle repubbliche separatiste, con un intervento localizzato in quei territori, potrebbe risolversi in una ripetizione dell’operazione Attila messa in atto dalla Turchia nel 1974, e che portò alla divisione dell’isola. Una prospettiva che aprirebbe ulteriori sviluppi in Europa orientale.

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