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Due giorni. Mario Draghi parlerà al Parlamento mercoledì. Lì si vedrà se chiuderà definitivamente la porta per andarsene o se deciderà di proseguire alla guida di questo esecutivo. Bisognerà poi vedere chi rimarrà nella cornice della maggioranza e chi strapperà. Per ora, nel Movimento 5 Stelle, sembra prevalere la linea dura, sebbene questa scelta comporterebbe una grossa emorragia di parlamentari. Anche nel centrodestra le posizioni sono piuttosto ondivaghe. L’unico punto di convergenza è il veto posto sulla permanenza grillina nella cornice del governo. Insomma, una grande confusione. Per capirne di più, Formiche.net ha interpellato Marco Tarchi, politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri.

Dopo i mille appelli (tra cui quello di sindaci e amministratori), il premier Draghi resterà al governo del Paese?

Penso di sì, ma non in forza degli appelli. A contare è stata sicuramente, come ha scritto il più diffuso quotidiano italiano, una telefonata dall’estero. Anzi, più d’una. A Washington e a Bruxelles, come è noto, il gradimento verso la presidenza Draghi è altissimo. E certamente più elevato di quello riscosso in patria fra i cittadini-elettori.

Il centrodestra ha posto il veto sui pentastellati. Ma, in definitiva, qual è la posizione di Lega e Forza Italia? Vogliono il Draghi bis o spingono per andare a elezioni?

Date le cifre di sondaggio dei due partiti, non credo che desiderino un voto a breve scadenza, ma non possono, in questa fase, fare concorrenza diretta al Pd nel sostegno all’attuale presidente del Consiglio. Il veto al M5S è un modo per sottolineare la differenza di posizione.

Meloni si è espressa in modo contrario all’appello degli amministratori volto a preservare la figura del premier a Chigi. È stata una mossa tatticamente efficace?

Probabilmente sì, perché in questi frangenti di incertezza all’interno di un governo che ha sempre avversato, Fratelli d’Italia deve insistere sull’apparire come una forza di opposizione e puntare sull’elettorato di protesta, che Draghi a Palazzo Chigi non ce lo vuole più.

Il Movimento 5 Stelle, secondo lei, rimarrà al governo oppure no?

La logica vorrebbe che, una volta fatta la mossa del rifiuto della fiducia, si andasse fino in fondo. Così resterebbe per lo meno la speranza di recuperare il consenso di una parte – per quanto piccola – di quei molti elettori che nel 2018 avevano votato per un partito che ritenevano alternativo all’establishment e lo hanno visto normalizzarsi e passare dall’altro lato della barricata a ritmi accelerati. Dopo la scissione di Di Maio e della sua componente “carrierista” (per dirla con una celebre classificazione di Angelo Panebianco relativa ad iscritti e dirigenti dei partiti politici), questa ipotesi potrebbe ancora avere, agli occhi dei “credenti”, un minimo di credibilità. Restare in bilico significherebbe scontentare tutti. Ma poiché la logica spesso con la politica ha rapporti difficili, non escluderei che Conte – delle cui doti di leadership dubito da sempre – finisca col tentare di fare questa acrobazia per non perdere altri pezzi.

Qualora dovesse prevalere la linea Conte, dunque l’uscita dall’esecutivo, che ne sarà dei ministri pentastellati?

In quel caso, o si adegueranno e cercheranno di trovarsi un ruolo di spicco nei nuovi assetti, su una linea diversa da quella precedentemente seguita, o usciranno dal Movimento, ma dovranno giustificarsi sia con i residui militanti di base sia con gli scissionisti a cui, in un primo momento, si sono opposti.

 

Draghi rimarrà al governo. E Conte (forse) con lui. Parla Tarchi

Il politologo dell’Università Alfieri: “Forza Italia e Lega non credo che desiderino un voto a breve scadenza, ma non possono, in questa fase, fare concorrenza diretta al Pd nel sostegno all’attuale presidente del Consiglio. Il veto al M5S è un modo per sottolineare la differenza di posizione”

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