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La gravissima crisi apertasi a fine 2021 nelle relazioni tra la Russia e l’Ucraina con il collegato, inevitabile coinvolgimento della comunità internazionale impegnata, in modo più o meno composto, nell’individuazione di una soluzione diplomatica accettabile per le due parti, ha – comprensibilmente – un po’ offuscato i riflettori sino a qualche tempo fa decisamente puntati in maniera più vigile su altre aree geografiche a elevata sensibilità. Questo è il caso, in primis, della Libia, sulla quale dopo il rinvio delle elezioni presidenziali in origine fissate per il 24 dicembre le attenzioni generali paiono avere subito una battuta d’arresto. Ora che, dalle frontiere con l’Ucraina e la Bielorussia, ove erano massicciamente stazionate, le truppe russe sembrano avere avviato il ripiegamento e, di conseguenza, la tanto auspicata e attesa “de-escalation”, occorrerà fare in modo che la tormentata area nord-mediterranea recuperi rapidamente la priorità che le compete.

Un nuovo premier per la Libia

Nel periodo, mutuando una nota formula radiofonica sportiva, “in cui non siamo stati collegati”, il parlamento di Tobruk ha nominato il 10 febbraio scorso, all’unanimità dei suoi componenti, un nuovo premier ad interim, al posto di Abdul Hamid Dbeibah, il cui mandato veniva a scadenza alla fine dello scorso anno. Sembra decisamente più di una coincidenza il fatto che, in connessione con tale evento, il formalmente ormai ex primo ministro sia risultato oggetto, a opera di criminali rimasti sconosciuti, di un attentato mentre si trovava a bordo della sua auto blindata, fortunatamente risoltosi senza danni alle persone. A seguito della pronuncia del parlamento di Tobruk, il nuovo premier ad interim è Fathi Bashagha, persona vicina allo speaker di quella camera, Aguila Saleh, secondo molti osservatori il favorito alle presidenziali di fine dicembre, qualora le stesse avessero avuto effettivamente luogo. Bashagha, che nel governo di unità nazionale presieduto da al Serray, era responsabile dell’assai influente ministero dell’Interno, si era guadagnato “sul campo” i galloni di patriota, avendo contribuito, con efficaci misure di difesa, a respingere l’attacco alla capitale sferrato nella primavera del 2019 dalle truppe del “ras” della Cirenaica, Khalifa Haftar, con l’aperto sostegno di Federazione Russa, Egitto ed Emirati arabi.

Il previsto ricorso alle urne

Prevedibilmente, la decisione parlamentare non è stata accettata dal premier formalmente esautorato, il quale in un intervento televisivo ha espresso l’intenzione di non lasciare l’incarico sino a quando la Libia non avrà eletto il suo nuovo Presidente. Potendo contare (oltre che su un protratto riconoscimento “occidentale”), anche su consistenti appoggi negli ambienti politici e militari della capitale, Dbeibah si è fatto al contempo interprete di una “roadmap” in vari punti, da concordare nel dettaglio proprio con il parlamento di Tobruk. Alla fine della stessa è previsto, a fine giugno, il ricorso – questa volta, si confida, non solo virtuale – alle urne. Altrettanto scontata è apparsa la non condivisione della proposta da parte dei suoi oppositori, dal momento che la camera di Tobruk è da tempo impegnata – come priorità vincolante – nella messa a punto di una nuova Costituzione, da sottoporre a referendum popolare entro la corrente estate. Solo successivamente alla adozione della stessa, potranno essere organizzate (verosimilmente già nel 2023) le elezioni presidenziali.

Incertezza politica e istituzionale

Riassumendo, sulla base dell’impasse politico/istituzionale e perdurando sul terreno la situazione di completa anarchia delle numerose milizie armate, in grado di influenzare pesantemente gli equilibri interni, in Libia sembrerebbe riprospettarsi con caratteri particolarmente accentuati, dopo una fase di almeno parziale composizione, la tradizionale, profonda divisione esistente tra ovest ed est, vale a dire tra Tripolitania e Cirenaica, come dimostrato dalla contemporanea presenza di due premier in carica. A ben vedere, l’unico elemento di novità sembrerebbe rappresentato dall’apparizione, nei due campi, di “uomini forti” nuovi, in sostituzione di al Serraj ed Haftar, in attesa ovviamente di conoscere la posizione che vorranno assumere i noti “protagonisti” sul teatro libico, in particolare Turchia, Federazione Russa, Egitto ed Emirati. In questo frangente, anche sullo sfondo delle incertezze che circondano gli approvvigionamenti energetici provenienti dall’est del continente, la preoccupazione della comunità internazionale, ed europea in particolare, deve essere più che mai rivolta a garantire per le proprie popolazioni le vitali importazioni di petrolio e gas dalla Libia.

Il ruolo dell’Italia

Considerata l’ampiezza dei nostri interessi nell’area (politici, economico/commerciali e sul fronte emigratorio), un particolare attivismo dell’Italia appare perfettamente giustificabile e, anzi, auspicabile. Di conseguenza, appropriata anche come timing è risultata la recente riunione indetta a Roma dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio con i rappresentanti degli Stati coinvolti nel processo di stabilizzazione del Paese nord-mediterraneo. Esistono infatti scenari geo strategici – e la Libia è uno di essi – in cui la difesa delle priorità e delle esigenze nazionali deve essere gestito in proprio e non delegato alle cure di altri, seppure Paesi amici e alleati.

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