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Una scheggia fuori controllo. Il conflitto in Ucraina non si può prevedere e nemmeno controllare. Parola di Lucio Caracciolo, direttore e fondatore di Limes, che ha detto la sua sull’escalation in Europa orientale intervenendo al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence (Socint). “Una guerra in Ucraina è possibile, ma poco probabile”, dice. Da una parte e dall’altra si fa strada il partito dello stallo contro il partito dell’intervento militare, per diverse ragioni.

Nella Nato, spiega Caracciolo, convivono due anime con due approcci diversi alla crisi. La prima linea, i Paesi baltici e dell’Europa dell’Est più esposti alla minaccia e segnati dall’esperienza sovietica, “percepisce di più la Russia come un pericolo rispetto ai Paesi dell’Ovest”. Non a caso uno dei progetti più invisi a Mosca inaugurato dall’Alleanza porta la firma di Polonia, Finlandia e Croazia. Si chiama “Trimarium”, spiega il fondatore di Limes, e prevede operazioni congiunte nel Mar Baltico, nell’Adriatico e nel Mar Nero per “concentrare le difese contro potenziali attacchi russi”.

Altri due motivi sono alla base delle resistenze nel fronte Nato e della prudenza diplomatica degli americani, aggiunge. Il primo è “l’avvicinamento tra Cina e Russia”, “una strana coppia che si rafforza man mano che la pressione statunitense aumenta”. Il timore è che si verifichi “un effetto tenaglia con un impatto sugli interessi americani nel mondo: sebbene siano diverse per cultura e tradizioni, in questo momento Cina e Russia hanno bisogno del sostegno reciproco”. Il secondo motivo riguarda invece Taiwan. E più precisamente, dice Caracciolo, il rischio di una grande operazione-distrazione: una crisi a Kiev con i riflettori del mondo puntati potrebbe “rappresentare il momento propizio da parte cinese per muovere su Taiwan. Nelle equazioni strategiche del Pentagono questo scenario è tenuto in considerazione”.

Anche per i russi però un’invasione è problematica. L’obiettivo di Mosca semmai, precisa Caracciolo, è quello di “mantenere l’Ucraina instabile piuttosto che conquistarla, perché nel secondo caso si porrebbe il tema dei costi del mantenimento militare”. A spingere la Russia verso una pericolosa partita di scacchi con la Nato ci sarebbe allora un “sentimento di accerchiamento” che è risalente nel tempo e non riguarda solo l’alleanza atlantica. “Storicamente i russi hanno sempre avvertito questa percezione che si manifesta attraverso tre faglie di crisi: la Nato a Ovest, la pressione islamista a Sud e la pressione cinese sulla Siberia a Est”.

Una chiosa di Caracciolo è stata dedicata anche all’Italia e alla posta in gioco nella crisi ucraina. Le manovre di Stati Uniti e Nato dicono infatti qualcosa delle priorità strategiche americane tanto in Est-Europa quanto nel quadrante Mediterraneo. Il Mare Nostrum non è poi così “Nostrum” visto da Roma. “Nel Mediterraneo si incrociano le influenze americana, russa e cinese. Ma l’attenzione strategica degli Stati Uniti verso questo bacino si è progressivamente ridotta, lasciando un vuoto che in parte è stato colmato dalla Russia e in parte dalla Cina con la nuova Via della Seta”. Un disinteressamento non solo teorico ma anche materiale, come dimostra la riduzione della VI flotta.

Per Caracciolo potrebbe rivelarsi “una deriva pericolosa per l’Italia”. “Il controllo esercitato dal nostro referente strategico avveniva in un mare conteso e attraversato da conflitti come quello israelo-palestinese o, di riflesso, quello ucraino. In questo scenario sono emersi nuovi attori regionali come la Turchia, che nell’ultimo anno si è proiettata in Libia. Attori con cui l’Italia, oggi più di ieri, dovrà riuscire a relazionarsi tutelando i propri interessi”.

L'Italia e l'allarme russo nel Mediterraneo. Analisi di Caracciolo

Intervenendo al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, il fondatore di Limes definisce “poco probabile” una guerra in Ucraina e spiega remore e resistenze di Russia e Nato. Allarme Mediterraneo: il disimpegno Usa è un problema per l’Italia

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