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“Sono un fan di Elon Musk e SpaceX, ma chiunque sarebbe preoccupato se ci fossero intrecci finanziari con la Cina. Il Congresso non guarda con favore a questa faccenda”. Ecco, l’aria che tira a Washington è più o meno questa e viene sintetizzata dalle parole del repubblicano Chris Stewart, membro della House Intelligence Committe. Come scrive il Wall Street Journal, a far alzare le antenne, a lui e a gran parte dei suoi colleghi, sono i rapporti poco chiari tra l’imprenditore sudafricano e Pechino. Il timore è quello che la Cina possa accedere ad informazioni riservate in possesso dell’azienda di Musk, non solo attraverso la mano del governo centrale ma anche tramite investitori esterni.

Tencent Holdings, tanto per citare una delle preoccupazioni, nel 2017 ha acquistato il 5% delle azioni di Tesla. Per Musk si è trattato di un’operazione finanziaria come tante altre, per gli americani invece di qualcosa di pericoloso. Anche se da Tencent fanno sapere che la sua partecipazione in Tesla è scesa, le ansie americane rimangono e fanno riferimento alla sua app di messaggistica, WeChat, che insieme a TikTok furono ingabbiate dall’ex presidente Donald Trump per paura che Pechino potesse rubare i dati degli utenti statunitensi. L’amministrazione Biden, da parte sua, ha continuato su questa linea precauzionale. I problemi, però, potrebbero venire da altre parti. Gli ammiccamenti degli ultimi anni che Musk ha lanciato a Pechino sono ormai noti, specialmente quando ha definito i cinesi più laboriosi degli americani, troppo narcisisti. In occasione dei cento anni del Partito comunista aveva invece lodato lo sviluppo della Cina, specie per le infrastrutture.

Subito venne ricambiato con prestiti miliardari da due banche cinesi, che includevano 1,4 miliardi di dollari da destinare alla costruzione di una fabbrica a Shanghai. Lo scorso anno, Musk ha ripagato tutto quello che doveva (circa 614 milioni di dollari, stando agli accordi). Chiaro che gli affari erano volti ad attirare il più grande produttore di auto elettriche in circolazione nel Paese, a cui serve una spinta green. Pertanto a Musk non vennero non solo offerti prestiti economici, ma anche terreni a basso costo su cui edificare le proprie strutture. Come il Tesla Gigafactory 3, uno spazio da 864.885 min cui lavorano duemila dipendenti.

Ad indignare non solo l’America, poi, l’apertura di uno showroom nella regione dello Xinjiang, dove sono ormai note i trattamenti riservati alla minoranza degli mussulmani uiguri. Il presidente Biden aveva da poco firmato un provvedimento che vietava l’importazione di beni provenienti da quella zona, per non contribuire allo sfruttamento della popolazione. Musk non ha prestato la stessa attenzione e le critiche che ne sono conseguite sono piovute da destra quanto da sinistra. Il direttore della comunicazione del Council on American-Islamic Relations, Ibrahim Hooper, che aveva sentenziato come “nessuna azienda americana dovrebbe fare affari” in una zona in cui va avanti “una campagna di genocidio religioso e di una minoranza etnica”.

Perfino uno dei suoi più grandi ammiratori, il repubblicano Marco Rubio, ha deciso di scaricarlo dopo una decisione del genere. Il proprietario di Tesla starebbe “aiutando il Partito comunista cinese a insabbiare il genocidio e il lavoro forzato nell’area”, aveva tuonato Rubio. Tuttavia, Musk non è solo Tesla. Con SpaceX sta infatti  assumendo un ruolo sempre più centrale nelle questioni spaziali. A dicembre fu lo stesso Rubio a proporre un disegno di legge con cui si impedirebbe alla NASA – così come ad altre agenzie federali – di stringere accordi con aziende che hanno rapporti con la Cina. Alle aziende statunitensi che accolgono investimenti cinesi, invece, veniva richiesta maggiore trasparenza.

La corsa allo spazio assume ancor più importanza alla luce degli eventi in Ucraina. La Cina non si sbilancia più di troppo e in molti credono che Mosca e Pechino si stiano avvicinando. Una collaborazione sino-russa potrebbe pertanto mettere davvero in difficoltà gli Stati Uniti in quella che è la prossima sfida del futuro ed avere SpaceX dalla loro parte è tutt’altro che un vantaggio, soprattutto perché l’azienda è in possesso di informazioni riservate. Vero è che anche la Cina si è infastidita dei comportamenti di Musk. O meglio, più che la Cina, quei produttori di auto cinesi che si sono visti preferire a un imprenditore straniero. A rischiare di far saltare il banco è stata una legge che prevedeva aiuti economici per le aziende che producevano più auto elettriche (leggasi Tesla), mentre quelle meno produttive erano costrette a far debito. In questo modo, Musk ha utilizzato i risparmi dei fornitori nazionali per tenere bassi i prezzi e padroneggiare sul mercato cinese.

Scaramucce che non sono mai terminate ma che al momento non sembrerebbero allontanare Musk dalla Cina. E questo preoccupa l’America, che attraverso la segretaria al Commercio Gina Raimondo è stata piuttosto esplicita: “Qualsiasi uomo d’affari che fa affari con la Cina dovrebbe essere estremamente diffidente. E spero che non si impegnerà mai in alcun comportamento che metta a rischio la nostra sicurezza nazionale”. Musk è stato avvertito.

Il legame tra Elon Musk e la Cina non fa dormire Washington

Anche tra i suoi più fedeli ammiratori c’è chi critica l’ingerenza di Pechino, che potrebbe entrare in possesso di informazioni riservate. ll Congresso lo tiene d’occhio e prova a correre ai ripari

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