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Dire che, dopo il Covid, la guerra in Ucraina è destinata necessariamente a provocare un profondo cambiamento nelle società di tutto il mondo a partire da quelle occidentali, può apparire una stucchevole giaculatoria, puntualmente sciorinata quando ci sono fenomeni su vasta scala di cui non si conosce bene l’evoluzione. Tuttavia, se si gratta la superficie delle cose, si possono scorgere tendenze che si vanno consolidando e che sono in grado di provocare mutamenti politici di forte portata. Se puntiamo l’attenzione all’Italia, proprio l’obbligatoria scelta di campo che il conflitto tra Mosca e Kiev richiede sta proponendo una nuova forma di bipolarismo incentrata su due leadership in forte ascesa: a destra quella di Giorgia Meloni, a sinistra quella di Enrico Letta.

Partiamo da questa seconda che ha una più massiccia potenza euristica nel dibattito pubblico. Il segretario del Pd si è nettamente schierato contro l’invasione da parte di Putin dell’Ucraina, e si è intestato una linea politico-istituzionale poi travasata nella risoluzione votata quasi all’unanimità in Senato di appoggio a Zelensky e di sostegno alla resistenza delle truppe di Kiev anche con l’invio di materiale bellico.

Si tratta di un orientamento che taglia fuori un pezzo tutt’altro che trascurabile del racconto identitario della sinistra italiana, e che ha provocato dissociazioni nella parte più radicale di un mondo che ha orientato il confronto pubblico italiano. Giornali, intellettuali, pezzi di organizzazioni e grandi sindacati come la Cgil, infatti, non solo hanno adottato con un riflesso condizionato la linea superficialmente pacifista del “né-né”, né con Putin né con Zelensky, ma in alcune frange addirittura si stanno spendendo per la resa incondizionata di Kiev con l’argomento che cedendo a Putin si evitano migliaia di vittime.

Non è rimasto esente da questa divaricazione neppure uno dei miti fondanti della sinistra post-bellica: la Resistenza. Che per alcune delle teste pensanti di questo schieramento non è stata determinante per battere i nazifascisti visto che il merito va assegnato alle truppe alleate. Quasi un ribaltamento della narrazione storica a cui ha risposto da par suo Luigi Manconi ma che riporta alla mente i giudizi di Giuliano Amato, oggi presidente della Consulta, espressi in una intervista al Dubbio secondo cui se non ci fosse stata la Resistenza gli italiani non si sarebbero conquistati il diritto di scrivere da soli la loro Costituzione in autonomia e autodeterminazione, diversamente da quanto accaduto in Germania dove quel compito è stato assunto dagli Alleati.

Tutto questo, e la manifestazione di sabato a Firenze ne è un esempio, accresce la figura e il peso politico di Letta anche nei riguardi dei Cinquestelle, assai più cauti e portatori di un atteggiamento di tipo agnostico, quasi da pesce in barile: la guerra è sbagliata e va fermata al più presto ma in fondo non è affar nostro, meglio starne alla lontana.

Qualcosa del genere, anche se meno incendiaria sul risvolto chiamiamolo così, “culturale”, sta accadendo nel centrodestra. Meloni ha assunto una posizione fermamente atlantista non solo attaccando Putin (mentre un pezzo del mondo di destra estrema e di No Vax continua a flirtare con Mosca) ma schierandosi senza se e senza ma dalla parte degli Usa. Qualcuno vi ha scorto una voglia di accreditamento nel caso in cui le elezioni premiassero il centrodestra e in virtù del maggior numero di consensi raccolto la leader di Fdi richiedesse la poltrona di palazzo Chigi. Resta il fatto che tanta determinazione ha spiazzato i tradizionali alleati.

Matteo Salvini prima si rivestito del mantello cattolico facendo propri gli inviti di Papa Francesco; poi si è imbarcato in una tanto sorprendente quanto per lui nefasta missione ai confini dell’Ucraina. Com’è andata, lo sanno tutti. Anche Berlusconi appare in difficoltà e il suo silenzio pubblico lo conferma: i rapporti con Putin sono antichi e consolidati, criticarlo sarebbe doveroso ma risulta complicato. In definitiva il vero dato politico è che né Salvini né Berlusconi riescono a tagliare i ponti con Putin come invece ha fatto la Meloni. “A loro confronto, Al Bano sembra un gigante”, ha sentenziato Antonio Polito con un tweet al vetriolo.

Dunque due leadership, quelle di Letta e Meloni, che si radicano e gettano le basi per una contrapposizione di notevole rilievo nel momento in cui si apriranno le urne. Una faglia che terremota gli attuali schieramenti: altro che una partnership che ricorda Sandra e Raimondo, come disse ironicamente la presidente di Fratelli d’Italia. Se è una sit-com o meno si vedrà. Certo che comunque è destinata ad influire alla grande sul terreno politico italiano.

Altro che Sandra e Raimondo. Meloni e Letta unici leader davanti al conflitto

Davanti alla guerra, e alle posizioni caute o confuse di 5 Stelle, Berlusconi e Salvini, si sono rafforzate due leadership, quelle di Letta e Meloni, che si radicano e gettano le basi per una contrapposizione di notevole rilievo nel momento in cui si apriranno le urne. Il mosaico di Carlo Fusi

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