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Il video di propaganda con il quale la Russia ha spiegato ai bambini le ragioni dell’attacco all’Ucraina (si può vedere qui) evoca necessariamente il confronto con quello diffuso dalla Cina nell’ambito delle attività di contrasto alle accuse sull’origine del coronavirus. In entrambi i casi la scelta è stata quella di ricorrere a un cartone animato, tuttavia, le somiglianze si fermano qui perché i due video non potrebbero essere più diversi.

Dove il messaggio cinese è palesemente rivolto agli occidentali, quello russo è grandemente focalizzato su una audience russofona. La sottile e insinuante propaganda di Pechino che imponeva una complessa lettura multilivello ha come corrispondente la narrativa di Mosca che utilizza toni espliciti e — a tratti — ingenuamente violenti, come nel caso della rappresentazione degli aerei da guerra che sorvolano e bombardano i territori contesi lasciando macchie di sangue.

L’ellissi argomentativa dei manipolatori cinesi che lascia allo spettatore il compito di unire i puntini e trarre conclusioni (predeterminate) è in stridente contrasto con il climax ex-sovietico che dopo l’altrettanto ingenuo utilizzo della metafora fanciullesca passa direttamente alla ripetizione esplicita della unique selling proposition a sostegno dell’intervento armato in Ucraina (e che ben difficilmente potrebbe essere comprensibile a uno studente e men che meno a un bambino).

Come in altre analisi relative ad aspetti più rilevanti della crisi russo-ucraina, anche in questo caso ci si dovrebbe chiedere quale sia il senso di questa scelta apparentemente incomprensibile nell’ambito della strategia complessiva di attacco. La risposta non è affatto semplice e richiederebbe una profonda conoscenza della società russa e russofona, per cui è possibile fare solo considerazioni di tipo generale da un punto di osservazione per forza di cose limitato.

Di certo, la Russia (nelle sue varie incarnazioni politiche) ha sempre avuto una fortissima attenzione alla дезинформация (disinformazione) e al controllo del consenso tramite lo studio, la creazione a l’applicazione di complesse tecniche di manipolazione. È, quindi, da escludere che questo video sia stato prodotto “per caso”, che non sia integrato in una strategia di comunicazione ad ampio raggio, che i suoi contenuti siano il frutto dell’incapacità di costruire un messaggio più sofisticato.

Probabilmente, dunque, la scelta di comunicare in modo semplicistico e semplificato potrebbe avere a che fare con la natura dei destinatari ai quali è diretto il video. Dunque, non tanto i “bambini” — e men che meno quelli russi — quanto le parti meno strutturate delle popolazioni russofone e anche, verrebbe da dire, del resto del mondo. Dato per scontato, infatti, che il video avrebbe certamente superato i confini nazionali è ragionevole pensare che la sua semplicità sia pensata per inviare un messaggio anche all’esterno, diretto a persone non dotate delle necessarie conoscenze per valutare la portata reale dei suoi contenuti. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che ha funzionato benissimo il “cavallo di Troia” rappresentato dall’utilizzo dei bambini per far circolare anche in Occidente un messaggio che, diversamente, non sarebbe mai passato.

In questo contesto, dunque, la scelta di comunicazione operata con questo video potrebbe essere, drammaticamente e banalmente, ricordare a tutti gli attori chi (vorrebbe) comanda(re).

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