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Sul tavolo del Consiglio europeo di inizio settimana prossima ci sarà RePowerEu, il piano da 300 miliardi di euro proposto dalla Commissione per azzerare la dipendenza dalla Russia e accelerare la transizione energetica al contempo. Il documento onnicomprensivo è anche il tentativo di mettere d’accordo tutti i Ventisette, ma al di là delle loro divergenze si annida una questione più esistenziale: il prezzo di RePowerEu si misura in CO2.

Alla base di tutto c’è un nodo strutturale: uno strumento straordinario come il debito comune, a cui l’Ue ha fatto ricorso per combattere la pandemia, richiede l’unanimità. Che in questo caso manca. Così la Commissione ha aggirato il problema reindirizzando fondi di cui si può già disporre. Il grosso arriverebbe dal Recovery e Resilience Facility, lo strumento a cui l’Italia e pochi altri Paesi Ue hanno già attinto per i loro Recovery Fund, mentre altri 20 miliardi deriverebbero dal sistema europeo di scambio delle emissioni (Ets).

In pratica l’Ue venderebbe più permessi di inquinamento, cosa che ne abbasserebbe il prezzo e renderebbe più conveniente bruciare carbone e petrolio per ottenere elettricità. Ma il mercato Ets è il fiore all’occhiello della green economy europea, lo strumento più efficace in assoluto nello spingere l’adozione dell’energia pulita rendendola più conveniente di quella “sporca”. Dunque la scelta di finanziare la transizione lucrando sull’aumento di emissioni pare – per dirla come un diplomatico europeo sentito da Politico – “schizofrenica”.

Dalla discussione preliminare degli ambasciatori europei, avvenuta dopo la presentazione del piano, solo sette dei Ventisette (Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Olanda) hanno espresso la loro opposizione a questa misura. Anche alcune multinazionali energetiche (come la tedesca RWE) hanno criticato l’ammorbidimento del mercato Ets. Il resto dell’Ue, Italia inclusa, sembra aver preso la notizia con relativa atarassia.

C’è di più: sebbene il 95% dei fondi sia destinato a rinnovabili ed efficientamento, starà ai singoli Stati membri allocare i fondi che ricevono tramite RePowerEu. E come ha ammesso la stessa Commissione, potrebbero essere anche usati per costruire nuovi oleodotti. Un passo certamente necessario per i Paesi come l’Ungheria, interamente dipendenti dal petrolio russo via condutture russe, ma che stride con la spinta verso la decarbonizzazione.

È evidente che la decisione di sganciarsi dai combustibili fossili russi richieda scelte difficili, tanto da far proporre un’inversione a U sugli Ets a una Commissione che ha fatto della transizione una priorità assoluta. Si percepisce anche un tentativo di intervenire sul caro-bollette senza il ricorso a strumenti più divisivi, e dopo una misura del genere sarà ancora più difficile per l’Ue estendere la portata del sistema Ets anche alle famiglie – istanza controversa. Ma va anche detto che un annacquamento del genere potrebbe urtare la sensibilità verde degli europei, oramai abbastanza trasversale, e intaccare l’unità europea. Col rischio di compromettere sia la transizione che gli sforzi per sganciarsi dalla dipendenza russa.

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