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Nelle scorse settimane il tema del Golden Dome è tornato ad attraversare il dibattito strategico dopo che il Pla Daily, il quotidiano dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, si è apertamente schierato contro l’iniziativa lanciata da Donald Trump ad inizio anno, accusandola di destabilizzare l’equilibrio strategico e di favorire una “militarizzazione” dell’outer space. Al netto della propaganda, dietro alle affermazioni del quotidiano dell’esercito di Pechino ci sono alcune dinamiche che meritano di essere approfondite.

“Molta attenzione è stata dedicata al Golden Dome, un ordine esecutivo lanciato dalla seconda amministrazione guidata da Donald Trump nel gennaio 2025. Secondo il Presidente degli Stati Uniti, tale architettura mira a difendere l’intero territorio continentale degli Stati Uniti da missili ipersonici, balistici e da crociera. Sebbene alcuni esperti credano fermamente che la Golden Dome possa rafforzare la deterrenza e migliorare la sicurezza nazionale, non tuttavia è così facile come sembra”, spiega Chiara Fargnoli, esperta dell’Emerging Voices Network del British American Secuirty Information Council e research associate presso il programma “Managing the Atom” della Harvard University.

Fargnoli sottolinea come sembri mancare la cognizione del fatto che, in ambito strategico, le capacità offensive e quelle difensive sono strettamente interconnesse: “Sebbene il sistema sia di natura difensiva, può avere gravi conseguenze sulla stabilità strategica, in quanto può stimolare ulteriori investimenti da parte degli avversari in capacità offensive, aumentare le dinamiche di escalation e, soprattutto, innescare la weaponization dello spazio. Il nuovo sistema mira a integrare intercettori spaziali, che potrebbero essere riutilizzati per funzionare come armi antisatellite (Asat), cosa che preoccupa molto la Cina. Fattore che potrebbe spingere i leader cinesi e russi a sviluppare una collaborazione più forte e ad accelerare lo sviluppo di armi orbitanti”. Nonostante ciò, molti sostenitori del Golden Dome considerino l’iniziativa come una componente critica della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, soprattutto in caso di un’escalation militare con la Repubblica Popolare nel teatro dell’Indo-Pacifico

“Sebbene siano in corso sforzi per far progredire l’iniziativa, evidenziati dalla recente nomina da parte del Senato del generale delle Forze spaziali Michael Guetlein a capo del programma, il sistema è ancora lontano anni dalla disponibilità operativa”, prosegue l’esperta del Basic, “Il sistema si basa su tecnologie non collaudate che devono ancora essere testate e, anche nella migliore delle ipotesi, è improbabile che diventi operativo prima della fine del mandato del presidente Trump. Ciò rappresenta una lacuna strategica che la Cina potrebbe sfruttare, approfittando dell’attenzione degli Stati Uniti per un’iniziativa a lungo termine. E poiché i leader di Cina e Russia hanno fatto fronte comune condannando il Golden Dome, non sarebbe impensabile che i leader russi e cinesi possano unire le forze e rafforzare i loro sistemi di difesa missilistica. Pertanto, per evitare un’ulteriore escalation e prevenire la weaponization dello spazio, gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione l’idea di sospendere il loro attuale sviluppo, enfatizzare lo spazio come bene comune globale e avviare un dialogo strategico con la Cina finalizzato all’autocontrollo reciproco”.

Quando la difesa diventa minaccia. Il paradosso del Golden Dome spiegato da Fargnoli

Il “Golden Dome” statunitense mira a creare uno scudo globale contro minacce missilistiche, ma la sua dichiarata natura difensiva può avere effetti destabilizzanti, spingendo le potenze rivali a potenziare le capacità offensive e ad accelerare la weaponization dello spazio. Il commento di Chiara Fargnoli, esperta del Basic e Research Associate della Harvard University

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