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Trent’anni fa e oltre, organizzai una visita diplomatica a Mantova dell’autorevole e distinto ambasciatore cinese in Italia, Li Baocheng, legato a Deng Xiaoping (il leader maoista che introdusse il concetto di economia socialista di mercato), per incoraggiare le relazioni commerciali con le imprese del territorio provinciale (in precedenza feci lo stesso con l’ambasciatore russo Anatolij Adamischin). Seduti attorno a un tavolo di una media azienda di calze, sbrigati i convenevoli di circostanza, la parola la prende il proprietario, guida della prima generazione. D’istinto, si alza in piedi, mani sui fianchi e in dialetto mantovano, rivolto all’ambasciatore chiede: ma in Cina si fanno affari?

Ho riportato questo episodio che è paradigmatico della reazione di tanti piccoli e medi imprenditori dopo l’annuncio della ricostruzione dell’Ucraina. Si sa in queste trasformazioni epocali, lo è stato per il blocco dei Paesi dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino, e prima per le zone economiche speciali cinesi, le piccole e medie imprese sono un po’ tenute ai margini, perché hanno connaturato ostacoli legati alle modeste strutture imprenditoriali che si presentano ingombranti quando si tratta di immergersi in realtà sociali problematiche, prive di sistemi giuridici e politici affidabili, ancor più dove è in corso una guerra come in Ucraina (che deve superare gli standard di Bruxelles per ambire di entrare nell’Unione europea, propriamente sui finanziamenti sono da attivare clausole anti corruzione per l’elevata propensione al malcostume tangentizio).

È da ricostruire da capo un sistema, legislativo, politico, finanziario, relazioni sociali e di comunità. Qui dovrebbe concentrarsi l’aiuto del Vecchio continente. A ora l’Europa ha dato a Kyiv oltre 158 miliardi di euro. Durante la conferenza di Roma sono stati firmati 200 accordi per 2,3 miliardi di euro. Bruxelles ha stanziato un fondo di 10 miliardi di euro per la ricostruzione. Ne serve un trilione di euro (alcuni dicono 500 miliardi, arriveranno soldi anche dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario). C’è da stabilire, come per il riarmo degli eserciti europei, chi paga. E non è un aspetto secondario anche per il buon fine della missione che l’Europa si è caricata sulle spalle. Leverei quasi per intero l’utilizzo delle rimesse russe bloccate in Occidente. Sono denari che rientreranno in un contenzioso che attiene al diritto internazionale collegato all’eventualità di accordi di pace seguenti e quindi vedo poche possibilità di contanti in funzione d’uso.

Ho seguito, accanto al professor Victor Uckmar, un personaggio run the global tra i più in vista nel mondo dell’economia e delle relazioni commerciali internazionali, esperienze complesse realizzate dalle aziende italiane e toccato con mano le difficoltà per le nostre medie soprattutto piccole imprese sostenere investimenti (joint venture, società a capitale misto) in nazioni sottosopra, in particolare nell’ex blocco dei paesi comunisti dell’Est. L’Italia incapace di fare sistema ha lasciato all’avventura tante imprese che sono scappate via da quei territori, generando contenziosi infiniti e rimettendoci parecchi denari (un investimento andato male in territorio estero può far capitombolare l’azienda costruita con tanti sacrifici in Italia). Nel frattempo nazioni come la Germania prendeva le grandi commesse. In molti casi il buon fine di un affare era determinato dai forti legami con le burocrazie governative che non rifiutavano varie regalie, materiali e in denaro.

L’Ucraina oggi è messa peggio dei Paesi del blocco ex-comunista. Chiede di essere ricostruita (le aree maggiormente distrutte sono quelle occupate da Putin) con la Russia che sta facendo ancora la guerra e non vi è parvenza di fermo o di trattativa. Quale imprenditore è in grado di rischiare in questo stato di cose di mettere a repentaglio ventiquattrore su ventiquattro la sicurezza dei propri dipendenti? Non azzarderei previsioni positive. A breve. Infatti, Zelensky ha meglio dettagliato le sue richieste contingenti: armi solo armi per fermare i russi. Quindi è chiaro che non si può parlare di ricostruzione senza aver prima deciso le sorti del conflitto. Gli imprenditori hanno compreso che si fanno le cose una per volta. Non scendono in Ucraina a babbo morto.

L’impegno dell’Occidente per la ricostruzione dell’Ucraina delinea un arco temporale della guerra. Si deve combattere contro la Russia. Per vincere. Questo è emerso dalla conferenza di Roma. È uno snodo che chiama alle responsabilità tutte le nazioni. Non c’è motivo per tergiversare. Se l’obiettivo è rimettere in piedi la nazione ucraina e Putin continua a bombardare c’è da fare in modo che il leader del Cremlino ceda e si dichiari sconfitto (se l’Europa ha accettato il postulato che l’Ucraina combatte anche per il Vecchio continente, allora si doveva molto prima scendere con gli eserciti a fianco di Zelensky). Il cessate il fuoco e quindi il negoziato sono traiettorie ampliamente sperimentate senza esito perché sottostanno a condizioni che né una parte, né l’altra sono propensi a concedere (soprattutto se i russi continuano bombardare e se agli ucraini mandiamo altre armi).

Sarà in grado l’Europa insieme agli Stati Uniti di sostenere questo percorso, molto incerto, costoso e che rischia di rimandare sine die qualsivoglia soluzione del conflitto? È Trump un partner affidabile (il suo inviato presente alla conferenza di Roma ha parlato di terza guerra mondiale), terrà il punto anche fino all’applicazione della sua dottrina, ‘la pace con la forza’, o si ritrarrà secondo convenienze e opportunità del momento? Comprendiamo universalmente che occorre cautela per evitare di correre in una strada senza bussola.

E così ritorniamo al punto di partenza. Come terminare la guerra? Uno storico studioso dei conflitti mi spiega che la Prima guerra mondiale finì perché a un certo punto mancarono gli uomini per combatterla; la guerra in Ucraina finirà perché finiranno le armi e i soldi. Sono guerre costose le guerre moderne, e non possono andare avanti per cent’anni, come nel Medioevo.

Prima della ricostruzione, l’Ucraina deve vincere la guerra? L’opinione di Guandalini

L’impegno dell’Occidente per la ricostruzione dell’Ucraina delinea un arco temporale della guerra. Si deve combattere contro la Russia. Per vincere. Questo è emerso dalla conferenza di Roma. È uno snodo che chiama alle responsabilità tutte le nazioni. Non c’è motivo per tergiversare. L’opinione di Maurizio Guandalini

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