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I Balcani occidentali rappresentano oggi una delle aree più sensibili d’Europa. Polveriera inter-etnica mai veramente sopita, la regione rimane un focolaio di possibile instabilità. L’Italia è in prima linea con la missione Kfor della Nato, contribuendo alla stabilità e alla sicurezza della regione attraverso l’azione delle Forze armate e dell’Arma dei Carabinieri. Airpress ne ha parlato con Isabella Rauti, sottosegretario di Stato alla Difesa, per approfondire il significato politico e operativo dell’impegno italiano in Kosovo, le dinamiche regionali e il ruolo della diplomazia militare nella costruzione di una pace salda e duratura.

Negli ultimi anni si è assistito a un rinnovato interesse internazionale per i Balcani occidentali, anche da parte di attori non europei. Qual è oggi, secondo lei, il ruolo strategico dell’Italia nella regione?

L’interesse internazionale per i Balcani occidentali è crescente perché la stabilità della regione ricade su quella globale; ed il percorso di integrazione euroatlantica è esposto al rischio per le tensioni etniche nel nord del Kosovo e per le criticità nelle relazioni tra Serbia e Kosovo. Ci sono molti attori non europei interessati al quadrante dei Balcani occidentali; la Federazione russa ad esempio, mantiene una certa capacità di influenza nella regione anche attraverso storici legami culturali e religiose; la Cina – invece – usa le sue leve finanziarie e incrementa le attività nell’area per aumentare la sua sfera di influenza. 

E l’Europa che interessi ha nella regione?

Dal punto di vista geopolitico, l’integrazione europea dei Balcani occidentali rappresenta un investimento strategico per la sicurezza dell’Europa. La regione, infatti, è essenziale per l’equilibrio europeo; e, come più volte ribadito dal Governo, l’Italia continua ad essere impegnata per favorire il percorso di integrazione, che preferiamo definire “di riunificazione dell’Europa”. Siamo convinti, infatti,  che la sicurezza del Kosovo condizioni la sicurezza europea e siamo altrettanto consapevoli che lasciare a lungo un vuoto nei Balcani possa determinare ulteriori elementi di instabilità. Nel vertice di Tirana della Comunità Politica Europea (CPE) svoltosi nel maggio scorso, il Presidente del Consiglio Meloni ha affermato che una nuova Europa non è possibile senza i Balcani occidentali e senza i loro popoli e le loro identità; l’Italia, quindi, è impegnata per un approccio strategico che porti a fornire ai Balcani occidentali una prospettiva di integrazione europea. Ma è altrettanto evidente che serve una forma stabile di normalizzazione ed una de-escalation duratura, con un dialogo aperto tra Kosovo e Serbia. L’Europa non sarà mai davvero unita e riunita fino a quando i Balcani occidentali non saranno entrati nella famiglia istituzionale dell’Unione Europea. Un percorso lungo e difficile ma un investimento per il futuro.

Durante la sua recente visita in Kosovo ha incontrato il contingente italiano impegnato nella missione Kfor. A oltre vent’anni dal suo avvio, quale giudizio dà oggi della missione?

Durante la mia visita in Kosovo al contingente italiano, sono stata a Pristina – nella sede del quartier generale di Kfor a comando italiano con il generale di Divisione Enrico Barduani – ed a Pec – nella base del Regional Command West (RC-W), “Villaggio Italia”. La Missione internazionale Kfor opera da 26 anni, l’Italia con i suoi contingenti è presente dall’inizio ed è tra i maggiori contributori dei 33 Paesi partecipanti. Inoltre, per 14 volte ne abbiamo detenuto il comando. Siamo in Kosovo sulla base della Risoluzione n. 1244 /1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e gli uomini e le donne delle nostre Forze armate operano per contribuire alla stabilità della regione e alla sua sicurezza, per favorire la coesione sociale e la convivenza pacifica fra le comunità locali. 

Nel Regional Command West, a leadership italiana, operano nove Paesi e i nostri militari svolgono attività cinetiche sul terreno e collaborano con le Istituzioni e le Autorità locali a supporto della popolazione, anche con progetti di Cooperazione Civile Militare attraverso le cellule CIMIC. L’impegno del Regional Command West, è teso ad assicurare la libertà di movimento delle comunità locali e la sicurezza, in particolare lungo la linea di demarcazione tra Kosovo e Serbia la cosiddetta Administrative boundary line (Abl).

Come valuta l’impatto dell’impegno italiano nel Paese?

Siamo in Kosovo per mantenere aperto il dialogo tra Belgrado e Pristina condotto dall’Unione europea ma che può e deve avvenire solo in stabili condizioni di sicurezza. Il ruolo di Kfor, secondo il mandato Nato, è anche quello di contenere le tensioni etniche e mantenerle all’interno di un perimetro pacifico evitando che degenerino in conflitto. L’impatto della Missione è concreto, agisce sulla stabilità del territorio e sul dialogo possibile tra Kosovo e Serbia; la sicurezza di questo quadrante geostrategico contribuisce a quella globale.

L’Italia è tra i principali contributori della missione Kfor. In che modo il nostro impegno viene percepito in ambito Nato e internazionale? 

Le Missioni  internazionali vengono approvate dal Parlamento e se ne valuta annualmente l’efficacia e il rapporto costi e benefici. La Missione Kfor è tra le più longeve nella storia dell’Alleanza Atlantica e continua ad essere importante. L’Italia rappresenta un asse fondamentale nello sforzo corale della Nato in questa missione; il nostro contingente garantisce una presenza ed una postura di deterrenza in questa regione nevralgica per gli equilibri e la sicurezza. 

Che attività svolge in loco il contingente italiano?

I nostri militari rappresentano un presidio pacifico e dimostrano capacità di penetrazione nel tessuto sociale locale, sono apprezzati dalle Autorità locali e dalle municipalità per i progetti finalizzati allo sviluppo del territorio ed al benessere della popolazione. Vale la pena di ricordare anche che tra i compiti del contingente italiano rientra anche la vigilanza del sito del Monastero serbo-ortodosso di Visoki-Decane, il più grande complesso medievale dei Balcani e patrimonio dell’Unesco dal 2004, centro spirituale ed importante punto di riferimento religioso.

Tra i militari impiegati in Kosovo ci sono anche i Carabinieri, i quali sono in grado di mettere in campo una serie di competenze trasversali. Come si articola il loro contributo alla missione?

L’Arma dei Carabinieri fornisce un contributo prezioso alla Missione; il Reggimento Multinational specialized unit (Msu) testimonia l’impegno costante dei Carabinieri a Mitrovica, nel nord del Kosovo, zona caratterizzata da una forte presenza di popolazione di etnia serba e da storiche tensioni inter-etniche. La presenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 dei Carabinieri italiani contribuisce a creare le situazioni necessarie di sicurezza per la libera circolazione e la pacifica convivenza delle etnie albanese e serba.

I Carabinieri sono presenti in Kosovo anche nella più grande Missione civile dell’Unione Europea, la Eulex, che si concentra sul settore giudiziario con lo scopo di arginare le interferenze politiche e favorire il rispetto degli standard internazionali in materia di diritti umani. I Carabinieri in servizio in questa Missione svolgono un ruolo cruciale nel sostegno alla democrazia, alla sicurezza, allo stato di diritto ed alla riconciliazione tra le diverse comunità.

Come viene percepito l’operato dei nostri militari? Ritiene che la missione assolva ancora alla sua funzione primaria di stabilizzare la regione?

Nel lavoro quotidiano con i contingenti degli altri Paesi, i militari italiani si riconoscono per competenze e capacità operativa; in questa area strategica l’Italia si è sempre distinta e godiamo della considerazione dell’Alleanza Atlantica, della Comunità Internazionale e delle Istituzioni locali.

Continuare in questo impegno internazionale è un dovere rispetto agli impegni presi ed anche una necessità strategica; un eventuale conflitto nell’area vanificherebbe gli sforzi fatti e i risultati ottenuti, e introdurrebbe un ulteriore e grave elemento di instabilità pervasiva nello scenario globale.

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