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A meno di ventiquattro ore di distanza dall’imposizione della legge marziale voluta dal presidente Yoon Suk Yeol per “schiacciare le forze antistatali che hanno creato scompiglio”, in Corea del Sud la situazione sembra essere tendente alla normalizzazione. L’annuncio a sorpresa fatto da Yoon nella sera di martedì 3 dicembre ha causato una reazione coesa da parte della società e delle forze politiche, compreso il Partito del Potere Popolare di cui Yoon è un esponente, che si sono opposte trasversalmente al colpo di mano del presidente. Lee Jae-myung, leader del Partito Democratico (che detiene la maggioranza all’Assemblea Nazionale), ha invitato sia i membri del suo partito che i comuni cittadini a recarsi presso l’Assemblea Nazionale, apparentemente bloccata dai militari come conseguenza dell’entrata in vigore della legge marziale. “Carri armati, mezzi corazzati e soldati con pistole e coltelli governeranno il Paese… Cari concittadini, venite all’Assemblea nazionale”, sono le parole pronunciate da Lee.

Con l’imposizione della legge marziale i militari assumono poteri straordinari, e vengono sospesi i diritti civili dei cittadini e le norme e le protezioni dello Stato di diritto. Nonostante i militari abbiano annunciato restrizioni all’attività politica e ai media, i manifestanti e i politici hanno sfidato questi ordini senza subire conseguenze. Mentre all’esterno dell’edificio i manifestanti si confrontavano con le forze armate, senza però arrivare a scontri violenti, tutti i centonovanta parlamentari (su trecento totali) che erano riusciti ad accedere all’edificio hanno votato per la revoca della legge marziale. Il presidente ha poi revocato la dichiarazione di legge marziale, appena sei ore dopo la sua proclamazione. “Ci sono opinioni secondo cui è stato eccessivo passare alla legge marziale d’emergenza e che non abbiamo seguito le procedure per la legge marziale d’emergenza, ma è stato fatto rigorosamente all’interno del quadro costituzionale”, ha commentato telefonicamente un funzionario presidenziale sudcoreano contattato dall’agenzia stampa Reuters.

Il Partito Democratico ha adesso chiesto l’impeachment di Yoon. Il processo di impeachment è relativamente semplice in Corea del Sud: per essere approvato, è necessario il sostegno di più di due terzi dei trecento membri dell’Assemblea nazionale, quindi almeno duecento voti. In caso dell’approvazione dell’impeachment, si tiene un processo davanti alla Corte costituzionale. Se sei dei nove membri della Corte votano a favore dell’impeachment, il presidente viene rimosso dall’incarico. Quella dell’impeachment non è un’eventualità così rara nel Paese asiatico. Nel 2016, l’allora presidente Park Geun-hye fu sottoposta a impeachment dopo essere stata accusata di aver aiutato un amico a commettere un’estorsione, mentre nel 2004 un altro presidente, Roh Moo-hyun, fu sottoposto a impeachment e sospeso per due mesi. La Corte Costituzionale lo ha poi rimesso in carica.

Non è soltanto la figura presidenziale a traballare. La crisi provocata da Yoon ha scatenato profonde divisioni all’interno del Partito del Potere Popolare: i suoi vertici hanno chiesto il licenziamento del ministro della Difesa Kim Yong-hyun, oltre che le dimissioni dell’intero gabinetto. Kim si è offerto di dimettersi, ha dichiarato il ministero della Difesa.

Gli eventi delle ultime ore hanno senza dubbio causato alla Corea del Sud dei danni di carattere reputazionale, sia in senso politico che in senso economico. E su quest’ultimo fronte i tecnici di Seoul si sono già messi all’opera: il ministero delle Finanze ha dichiarato di essere pronto a immettere liquidità “illimitata” nei mercati finanziari dopo che il won aveva raggiunto i minimi pluriennali in seguito alle dichiarazioni di Yoon. L’annuncio è arrivato dopo che il ministro delle Finanze Choi Sang-mok e il governatore della Banca di Corea Rhee Chang-yong hanno avuto colloqui d’emergenza nella notte, e mentre il consiglio della Banca centrale si è riunito improvvisamente per approvare misure di salvataggio per il mercato del credito locale.

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