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Il 7 gennaio scorso le forze dell’Israeli Defense Force (IDF) hanno annunciato la notizia dell’abbattimento di un drone proveniente dal Libano, in missione per conto dell’organizzazione paramilitare islamista libanese Hezbollah. Rapidamente identificato e monitorato durante il volo dall’Israeli Air Force’s (IAF) Air Monitoring Command, sin dal suo ingresso nel territorio israeliano, è stato successivamente catturato ma non distrutto, come dimostra l’immagine di seguito riportata del tweet postato dall’IDF. Fin qui nulla di nuovo sotto il sole. Anche nell’agosto del 2020 era stato abbattuto un drone simile dagli israeliani. In questo caso, la vera novità consiste nel fatto che all’interno del drone era alloggiata una scheda di memoria che conteneva immagini diverse, alcune riferibili ai volti di agenti appartenenti alla Radwan, una delle unità d’élite del gruppo terroristico libanese e specializzata nell’utilizzo degli Unmanned Aerial Vehicle (UAV), droni utilizzati per la conduzione di attività di intelligence contro le truppe israeliane.

Immagine del tweet postato dall’IDF sull’abbattimento del drone

Le foto contenute nella scheda di memoria, presumibilmente scattate per errore dall’UAV, oltre a rivelare l’identità di numerosi agenti dell’organizzazione libanese, hanno consentito di acquisire ulteriori preziose informazioni, come le immagini di automezzi, con relative targhe, utilizzate dal gruppo paramilitare libanese. Un episodio analogo sembra si sia già verificato già alcuni mesi con un drone catturato dagli israeliani. Ma procediamo con ordine. Secondo un recente rapporto del Research and Education Center ALMA, Hezbollah possiede circa 2.000 UAV, molti dei quali forniti dall’Iran e muniti di tecnologie particolarmente avanzate.

A questi si aggiungerebbero altri 200 UAV di fabbricazione iraniana, forniti dal governo di Teheran nel 2013. Questi ultimi, in funzione della particolare dotazione tecnologica, sarebbero stati utilizzati per condurre operazioni di “intelligence reconnaissance” e per attacchi “kamikaze” su impianti strategici nazionali in territorio israeliano. Hezbollah sembra sia in possesso di modelli UAV avanzati come il tipo Karrar, ottimizzato per bloccare gli attacchi aerei, o come il modello Saegheh, che può trasportare missili anticarro. Come se non bastasse, l’organizzazione libanese può contare sulla disponibilità di ulteriori dozzine di droni, di fabbricazione cinese, per le missioni di ricognizione fotografica e per l’attacco al suolo mediante l’utilizzo di bombe.

Da quando l’Iran ha sviluppato il suo primo drone nel 1984, ha realizzato un apposito “Army UAV” in grado di dispiegarsi in tutto il Medio Oriente, estendendo significativamente la portata operativa di Teheran. Da notare che oltre a Hezbollah, gli UAV di fabbricazione iraniana vengono forniti alle milizie sciite in Siria e Iraq, agli Houthi nello Yemen e ad Hamas e alle cellule Jihadiste islamiche palestinesi nella Striscia di Gaza.

Nel 2021, Hezbollah avrebbe violato lo spazio aereo israeliano inviando 74 droni in Israele, una diminuzione rispetto ai 94 inviati nel 2020, ma un aumento significativo rispetto ai 54 UAV che hanno sorvolato il confine nel 2019.

Anche il governo di Tel Aviv si avvale di droni per la conduzione di operazioni di intelligence, un’attività appannaggio del 869th “Shahaf” Field Intelligence Battalion, unità dell’IDF specializzata in “gathering intelligence”. Ovviamente anche i libanesi possono vantare alcuni abbattimenti di droni israeliani, soprattutto nella parte sud del Libano. Se Beirut si lamenta regolarmente dei droni di sorveglianza israeliani che invadono il suo spazio aereo, gli israeliani sostengono che tali operazioni sono necessarie per tracciare le attività ostili di Hezbollah.

Gli UAV, un tempo appannaggio dei soli Paesi che potevano contare su budget per la difesa particolarmente corposi, attualmente rappresentano un prodotto “of reference” per la conduzione di una molteplicità di operazioni, che vanno dall’intelligence, alla ricognizione, fino all’attacco al suolo. I vantaggi sono innumerevoli: bassi i costi di acquisto sul mercato, possibilità di produrre “internamente” i droni anche per i paesi muniti di scarse dotazioni economiche, ma soprattutto una straordinaria reperibilità, a basso costo, sul mercato internazionale.

Un esempio in tal senso è dato dalla Da-Jiang Innovations (DJI), società cinese leader nel settore che produce e commercializza droni in tutto il mondo e che è stata censurata dal Pentagono, a luglio 2021, in funzione del fatto che “ … i droni prodotti dal produttore cinese Da Jiang Innovations (DJI) rappresentano una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale” . Di parere contrario sono gli israeliani, che invece utilizzano per le loro missioni da ricognizione specificatamente i droni della DJI, ufficialmente in dotazione proprio all’Unità 869.

Vale la pena di ricordare che a luglio del 2020 i ricercatori francesi della Synacktiv, in collaborazione con il gruppo di ricerca GRIMM, hanno prodotto un rapporto in cui veniva evidenziato che l’app Android DJI GO 4, fruibile per controllare un drone prodotto dalla cinese Da Jiang Innovations (DJI), contiene una funzione di aggiornamento automatico che bypassa il Google Play Store, creando così la possibilità per l’app di trasmettere informazioni personali sensibili ai server di DJI e probabilmente al governo di Pechino.

Dalla loro analisi è risultato che sono quattro le principali cause di preoccupazione all’interno dell’app, in particolare:
• l’applicazione contiene una funzione di aggiornamento automatico che ignora il Google Play Store;
• l’applicazione contiene la possibilità di scaricare e installare applicazioni arbitrarie (con l’approvazione dell’utente) tramite Weibo SDK. Durante questo processo, Weibo SDK raccoglie anche le informazioni private dell’utente e le trasmette a Weibo;
• prima della versione 4.3.36, l’applicazione conteneva il Mob SDK, che raccoglie le informazioni private dell’utente e le trasmette a MobTech, una società di analisi cinese;
• l’applicazione si riavvia automaticamente quando viene chiusa tramite il gesto di chiusura del dito di Android.

Pertanto, gli utenti potrebbero essere indotti a pensare che l’applicazione sia chiusa, ma potrebbe essere in esecuzione in background durante l’invio di richieste di telemetria.

Secondo il rapporto, il servizio di aggiornamento non utilizza il Google Play Store e quindi non è soggetto al processo di revisione di Google. Di conseguenza non vi è alcuna garanzia che l’applicazione scaricata da un utente corrisponda esattamente a quella di un altro utente fruitore della stessa app.

Tornando all’evento del drone acquisito dall’IDF, ciò che appare incredibile è la presenza al suo interno di una scheda di memoria contenente informazioni riservatissime. Com’è possibile che sia stato inviato in una missione “ad alto rischio”, in territorio “nemico”, un dispositivo contenente tali informazioni? Un errore che appare ancor più incomprensibile se consideriamo che tali operazioni sono condotte da personale specializzato. Ma la sorpresa maggiore risiede nell’esame dell’immagine del drone riportata nel tweet dell’IDF.

Esaminando la foto ciò che crea particolare stupore è la strabiliante somiglianza dello UAV riportato nell’immagine ad un modello prodotto e commercializzato dalla cinese DJI, ovvero il modello Phantom 3 Advanced. Anche il logo centrale dello UAV sembrerebbe essere esattamente quello della ditta cinese. Pura incredibile somiglianza o trattasi del medesimo fornitore? In questa ultima ipotesi, ciò che risulterebbe innegabile sarebbe la straordinaria “marketing power” del governo di Pechino, in grado di fornire, simultaneamente, i medesimi prodotti ad acerrimi avversari che si fronteggiano da decenni…

(Foto: Immagine estrapolata da un filmato “promo” del Modello Phantom 3 Advanced presente sul portale dell’azienda cinese Da Jiang Innovations)

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Di Antonio Teti

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