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Un analista dell’Fsb, l’intelligence federale russa, scrive in un rapporto le sue perplessità sull’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin e diventa la prima manifestazione di criticità dall’interno; testimoniando peraltro che la Russia non è un monolite, ma esistono posizioni complesse e sia tra le gerarchie che tra le collettività ci sono divisioni. In particolare, sembra che le intelligence e il ministero degli Esteri non fossero troppo convinti dell’attacco, a differenza della Difesa che aveva posizioni più aggressive – questo è successo già su altri dossier, come per esempio la Libia, dove i militari spingevano per dare sostegno ai miliziani della Cirenaica e i diplomatici tenevano una linea più dialogante nei confronti del governo onusiano che quei miliziani volevano rovesciare.

Nel report si scrive che il numero delle perdite circolato, dieci mila, è credibile (l’ambasciata ucraina in Italia scrive in un’infografica oggi, martedì 8 marzo, che sono addirittura 12mila, ma sono dati forse esagerati); che Mosca sta “agendo intuitivamente” e “in base all’emozione” con “la speranza che all’improvviso possa succedere qualcosa per noi”; che le intelligence sono state “tenute all’oscuro”, ma ora sono “accusate del fallimento dell’invasione”; che l’Fsb “non era preparato ad affrontare gli effetti di sanzioni paralizzanti”; che Mosca ha “perso il controllo di molte divisioni”. Questi i problemi, in buona parte riscontrati sul campo, ora la valutazione: “Nel complesso la Russia non ha via d’uscita. Non ci sono opzioni per una possibile vittoria, solo sconfitta”, e “anche nell’ipotesi di una resistenza minima da parte degli ucraini, avremmo bisogno di oltre 500.000 soldati, esclusi gli addetti alle forniture e alla logistica” per controllare il Paese. Conclusione: “Saremo trascinati in un vero conflitto internazionale, proprio come Hitler nel 1939”.

Questa considerazione è velenosa se si pensa che l’intento di Putin — ribadito anche in questi giorni dall’ambasciatore in Italia, Sergei Razov —  è denazificare l’Ucraina. Il richiamo è narrativo: il revisionismo putiniano ha esaltato il ruolo russo nella Seconda guerra mondiale, descrivendo il Paese come potenza che ha salvato il mondo dal nazismo. E spesso il Cremlino usa la definizione di “nazisti” contro i propri nemici per accendere una miccia cognitiva sulle proprie collettività: “nazisti” giustifica l’azione. Anche per questo riferimento velenoso sul report critico dell’Fsb ci si è posti più di un dubbio, ma la fonte è buona: il documento è arrivato nella mani di Vladimir Osechkin, un attivista russo per i diritti umani che cura il sito anticorruzione Gulagu.net — di solito canale del dissenso piuttosto affidabile. Christo Grozev, esperto del gruppo giornalistico Bellingcat e uno dei guru sulle analisi riguardo i servizi segreti russi, ha detto al Times di Londra di aver mostrato il rapporto a due ufficiali dell’Fsb, i quali hanno affermato di “non avere dubbi che sia stato scritto da un collega”.

Questi dubbi sono leciti vista la potenziale importanza delle affermazioni e dato che in passato lo Sbu, la principale agenzia di sicurezza e controspionaggio ucraina, ha fatto uscire dei rapporti falsificati, dichiarati come provenienti da Mosca, come forma di operazioni psicologiche contro il Cremlino. È invece indubbio che il dissenso in Russia ci sia, anche perché iniziano a circolare storie di reclute (molto giovani) che non sapevano nemmeno di andare a combattere quando le loro unità sono partite per il fronte – gli avevano detto che sarebbero state esercitazioni.

Lyudmila Narusova, 70 anni, era la moglie di Anatoly Sobchak, il primo sindaco democraticamente eletto di San Pietroburgo, morto in circostanze misteriose nel 2000 mentre Putin saliva alla presidenza, ha detto a Dozhd, un canale televisivo indipendente, che i soldati russi morti in Ucraina giacciono “senza sepoltura a terra mentre cani randagi rosicchiano i loro corpi, che in alcuni casi non possono essere identificati perché sono bruciati”.

Sedicimila russi sono stati arrestati mentre protestavano contro la guerra in questi giorni; solo domenica quattromila tra i “no war” – guerra che secondo quel documento dell’analista dell’Fsb se non finisce entro giugno metterà in ginocchio l’economia russa (che già è in grossa crisi). Il maggior numero di arresti è stato a Ekaterinburg, negli Urali, e a Novosibirsk in Siberia. L’area siberiana anche alle amministrative del 2020 aveva mostrato sostegno ai candidati anti-putiniani, probabilmente anche per effetto della campagna elettorale di Alexei Navalny, il leader dell’opposizione russa che proprio in Siberia fu avvelenato prima di essere incarcerato.

“A causa di Putin, la Russia ora significa guerra per molte persone. Questo non è giusto: è stato Putin e non la Russia ad attaccare l’Ucraina”, ha detto Navalny in questi giorni. E che si ritorni a sentire la voce del più mediatico degli oppositori al sistema-Putin per il Cremlino in questo momento è un segnale tutt’altro che positivo. Anche per questo il Cremlino ha chiuso la Russia al mondo: tenere i propri cittadini lontani da certe dichiarazioni è fondamentale per Putin – per arrivare intatto a Kiev. Il capo della Cia, William Burns, è stato molto chiaro: Putin “probabilmente è arrabbiato e frustrato” perché si rende conto di non avere un “end-game politico sostenibile”. Secondo l’intelligence statunitense le perdite subite dalla Russia finora sarebbero tra le due e i quattro mila: comunque tantissimi.

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