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“Altro che guerra. Questo è solo l’inizio”. Paolo Pombeni, politologo e professore dell’Università di Bologna, invita a una lettura a freddo del gran caos nel Movimento Cinque Stelle.

È stato un sabato da resa dei conti. Prima le dimissioni di Luigi Di Maio dal comitato garanzia, di cui era presidente. Poi una nota al fiele del Movimento dettata dal capo Giuseppe Conte, che parla di  “giusto e dovuto passo” e di “gravi difficoltà a cui ha esposto la nostra comunità, che merita un momento di spiegazione in totale trasparenza”. Infine l’intervento del fondatore Beppe Grillo, con un post sul blog che aggiorna le cinque “stelle polari”: “leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità”. La “rivoluzione democratica”, dice l’“Elevato”, “è oggi chiamata a passare dai suoi ardori giovanili alla sua maturità”.

“Lo scontro per la leadership è appena cominciato”, nota il politologo con Formiche.net, “si vedrà dai prossimi scontri se diventerà una guerra di posizione e logoramento o sarà una Blitzkrieg”. Che non sia una semplice scaramuccia si capisce fin troppo bene dalle parole usate nel comunicato del Movimento dato alle agenzie. Un’invettiva contro i “percorsi divisivi e personali” e “le tattiche di logoramento che minano l’unità e la medesima forza politica del Movimento” di cui Conte e i fedelissimi accusano il ministro degli Esteri, protagonista delle trattative per il Quirinale che hanno infine portato alla riconferma di Sergio Mattarella.

Dice Pombeni: “La vicenda del Colle non ha rafforzato né indebolito Di Maio e Conte. Il primo avrebbe incassato una vittoria netta con l’elezione di Draghi, ora entrambi possono raccontare di averla spuntata”. A questo punto, spiega il professore, lo scontro si sposta a Palazzo Chigi. “Più Draghi riuscirà a far bene da qui al voto, più la memoria dell’epopea di Conte al governo rischia di svanire, e viceversa”.

Quanto ai duellanti interni, “tutti e due hanno dimostrato capacità di manovra, forse Di Maio con un surplus di maturità politica, ma non hanno più un grande potenziale di mobilitazione popolare”. Il rischio, aggiunge, è che “la sfida rimanga dentro al palazzo e fuori non sia capita”.

Dietro al terremoto c’è però qualcosa di più sottile della leadership. E non a caso nel suo post Grillo, per una volta senza metafore o rimandi criptici, ha dettato una road map per il Movimento che non dà ragione né all’uno né all’altro, o dà ragione a entrambi. Da una parte rivendica i risultati “rivoluzionari” raggiunti, a partire dal Reddito di Cittadinanza, un’operazione che porta soprattutto la firma di Di Maio. Dall’altra il riferimento al limite dei due mandati e la critica alla “politica come professione” che riaprono una ferita mai suturata nel Movimento e pongono un tema per le prossime politiche: Di Maio, come tanti altri “big”, ha infatti già esaurito i due mandati previsti.

Al di là delle regole, per Pombeni M5S è “un partito in disfacimento”. “Come l’Uomo Qualunque si sciolse all’epoca tra Dc e destra, senza lasciare tracce nelle correnti, così il Movimento rischia la stessa fine”. Anche se i sondaggi continuano a ritagliargli uno spazio definito nella politica italiana, “c’è poco da fidarsi”, dice Pombeni. “I sondaggi tendono a replicare il mondo esistente finché non crolla. Quando è crollata la Prima Repubblica, non c’era un solo sondaggio che ne prevedesse la fine la mattina successiva”

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