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È fondamentale convolvere la Cina, principale responsabile delle emissioni annuali di CO2 su scala globale (oltre un quarto, più di Europa e America assieme), alla Cop26 di Glasgow. Il tutto nonostante il presidente Xi Jinping abbia preferito rimanere in patria inviando alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici un messaggio scritto e il suo consigliere Xie Zhenhua.

Come ha sottolineato il presidente del Consiglio Mario Draghi chiudendo i lavori del G20 a Roma, la Cina, come altri Paesi, ha “accettato l’evidenza scientifica” della necessità di agire per mantenere entro il tetto massimo di 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale per metà secolo. La strategia di Pechino, però, è diversa da quella occidentale: picco entro il 2030 e neutralità carbonica 30 anni più tardi (non nel 2050 come promesso dall’Unione europea). A preoccupare l’amministrazione Biden, ma non soltanto questa, è il decennio in corso, definito in più occasioni dall’inviato del presidente per il clima John Kerry, come quello decisivo.

“La Cina ha appena aggiornato i suoi contributi determinati a livello nazionale (Ndc) e ha sottolineato che continua a puntare al picco delle emissioni prima del 2030, a raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2060 e a ridurre le emissioni per unità di Pil del 65% nel 2030”, ha evidenziato Nis Grünberg, senior analyst del think tank tedesco Merics, in una nota. “Con questi impegni ormai formalizzati, ci si aspetta poco di più dalla Cina anche durante il vertice” Cop26. Occhi puntati su Xie, fedelissimo del leader, ma non troppo: “Non ha l’autorità di prendere ulteriori impegni senza l’esplicita approvazione di Pechino”, ha sottolineato l’esperto.

Grünberg affronta un tema cruciale, quello della cooperazione sul clima e gli intrecci internazionali, economici e politici, delle relazioni con la Cina: “Se il mondo vuole raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi, la concorrenza con la Cina potrebbe fornire nuovi incentivi per i politici in Europa e far loro comprendere la maggiore necessità di sostenere le industrie e i posti di lavoro nella tecnologia sostenibile, compresa la mobilità, l’energia e non soltanto”.

Quanto alla credibilità degli annunci della Cina riguardo agli obiettivi interni e internazionali l’esperto osserva quanto Pechino abbia un “forte interesse” sul clima “sia sulla riduzione a breve termine dell’inquinamento sia sulla riduzione degli impatti negativi del cambiamento climatico su, per esempio, centri costieri esposti come Shanghai e importanti aree agricole minacciate dalla desertificazione”. La leadership cinese, per questo, “ritiene necessario per la sopravvivenza a lungo termine del regime un modello economico più sostenibile che possa assorbire gli impatti del cambiamento climatico sul commercio globale, sulla domanda di risorse e sulle nuove tecnologie”, continua. “Allo stesso tempo, il modello di sviluppo tecnologicamente guidato che vediamo essere spinto da Xi mette al centro la tecnologia verde e le industrie strategiche emergenti nei settori a bassa emissione di carbonio, e come opportunità per una leadership globale cinese, per esempio, nell’idrogeno verde e nella nuova mobilità”.

(Foto: Twitter @COP26)

Perché la Cop26 ha bisogno della Cina (e viceversa)

Nis Grünberg, analista del think tank tedesco Merics, spiega come Pechino e il regime abbiano un duplice “forte interesse” verso i cambiamenti climatici nonostante l’assenza del leader Xi alla conferenza di Glasgow

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