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Con la rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica sono riemerse le voci di chi ravvisa nell’incapacità dei partiti (e delle rispettive leadership) di individuare una candidatura forte e condivisa la ragione della conferma dell’attuale Capo dello Stato: un’aporia politica da curare incaricando il corpo elettorale di eleggere il Presidente della Repubblica. Ma davvero il problema consisterebbe nell’assenza di una legittimazione popolare diretta del rappresentante dell’unità nazionale? Una breve comparazione può forse aiutare a trovare una risposta.

La disciplina per la selezione del Capo dello Stato in Germania è per molti versi simile a quella italiana: anche il Presidente tedesco è eletto indirettamente da un’Assemblea Federale composta di tutti i membri del Bundestag ed un pari numero di rappresentanti dei Länder. Per essere eletti, la Legge Fondamentale richiede la maggioranza assoluta degli aventi diritto nei primi due scrutini, e la sola maggioranza relativa dal terzo in poi. Dal 1949 al 2017, il Presidente Federale – che resta in carica cinque anni ed è rieleggibile una sola volta – è stato eletto dieci volte al primo scrutinio, tre volte al secondo e tre volte al terzo: in due dei tre casi in cui sarebbe stata sufficiente la maggioranza relativa (nel 1994 e 2010) il candidato eletto ha comunque raggiunto la maggioranza assoluta dei voti, mentre il solo Gustav Heinemann (SPD) fu eletto nel 1969 a maggioranza relativa. Il prossimo 13 febbraio, 1.472 “grandi elettori” tedeschi confermeranno con tutta probabilità ilBundespräsident uscente Frank-Walter Steinmeier(SPD), dal momento che ad eccezione dia Linke e AfD, tutti i partiti presenti al Bundestag hanno da settimane concordato la sua rielezione.

Alcuni obiettano che il Capo dello Stato tedesco dispone di poteri assai più contenuti di quelli riconosciuti al suo omologo italiano. In realtà, nel 2017 si è visto come anche in Germania, quando i partiti non riescono a decidere, il sistema riconosce un potere di indirizzo ed orientamento molto forte a favore del Presidente Federale, di cui Steinmeier ha fatto ampio uso nell’iter di formazione dell’ultimo Gabinetto Merkel.

In Germania come in Italia, dunque, l’ampiezza dei poteri presidenziali dipende dalla capacità decisionale del circuito politico-istituzionale, di cui i partiti sono l’insostituibile cinghia di trasmissione, e nessuno a Berlino proporrebbe di risolverne un’eventuale impasse passando al voto diretto dei cittadini per il Capo dello Stato, perché minerebbe la centralità stessa delle forze politiche.

In Italia, invece, in pochi sembrano avvedersi del fatto che l’improvvido ricorso alla “volontà popolare” invocato quando il circuito rappresentativo si inceppa, finirebbe per sancire l’inutilità di forze partitiche che di quella volontà popolare dovrebbero essere in realtà il principale strumento di organizzazione ed espressione.

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica italiano confermerebbe quindi il sospetto presente in molti elettori dell’inutilità del sistema partitico, delegittimandone ulteriormente la centralità che pure il dettato costituzionale prevede. Si spera che Mattarella e Steinmeier, la cui intesa politica e personale è ormai consolidata da tempo, invitino a lavorare per un sistema partitico efficiente a Roma come a Berlino: conoscendo la sensibilità istituzionale dei due Presidenti, in effetti, è molto probabile che questo accada.

I Presidenti tra Italia e Germania e l’inopportunità dell’elezione diretta

Di Andrea De Petris

Ma davvero il problema consisterebbe nell’assenza di una legittimazione popolare diretta del rappresentante dell’unità nazionale? Una breve comparazione tra Italia e Germania può forse aiutare a trovare una risposta. Il commento di Andrea De Petris, direttore scientifico Cep Italia e docente Università degli Studi Internazionali (Unint)

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